RADICALI ROMA

MILANO: ALLA VIGILIA DEL "FAMILY DAY", ALTRI "NO" DAL MONDO CATTOLICO ALLA GERARCHIA

MILANO-ADISTA. Tra i tanti “sì” che il mondo del laicato cattolico ha pronunciato (o dovuto pronunciare), a voce spiegata o a mezza bocca, all’appello della Cei alla mobilitazione contro i Dico del 12 maggio, continuano ad insinuarsi altri, assai significativi, “no”. L’11 maggio, alcune autorevoli realtà del cattolicesimo democratico e di base, “Città dell’uomo”, “Il Graal”, il “Gruppo pace di S. Angelo”, il “Gruppo promozione donna”, “la Rosa Bianca”, “Noi Siamo Chiesa”, “Pax Christi Milano” hanno infatti organizzato un incontro,“Crisi della famiglia, futuro della famiglia: voci in libertà”: un appuntamento che, seppure non alternativo (se non altro per la data) al Family Day, è stato organizzato con la volontà di proporre un approccio, sui temi della famiglia, diverso da quello di chi ha indetto la kermesse di piazza S. Giovanni a Roma. A dare il segno dell’incontro, un editoriale di Guido Formigoni, apparso sul numero 2 (marzo-aprile) di Appunti di cultura e politica, dal titolo “Valori ‘non negoziabili’ contro dissoluzione della famiglia?”. “Oportet ut scandala eveniant”, esordisce l’articolo di Formigoni: “Sulla regolamentazione delle convivenze familiari sta esplodendo una crisi rivelatrice, pericolosissima”, ma tale crisi potrebbe rivelarsi, in fin dei conti, “salutare”. Da una parte, spiega il presidente di “Città dell’uomo”, “non è difficile riconoscere che la pressione del fronte che chiede da tempo la legittimazione dei cosiddetti ‘patti civili di convivenza’”, contiene “aspetti molto ideologici”: è infatti la “bandiera di una impostazione ‘libertaria’ che peraltro non è certo riguardi molte persone concrete”, poiché non c’è “una spinta sociale forte a creare istituzioni nuove”, considerando anche il fatto che “già il matrimonio civile è un modello molto flessibile, tanto più da quando si sono abbreviate le procedure per il divorzio”. Ciò detto, aggiunge però Formigoni, “che si riconoscano alcuni diritti derivanti da una scelta di convivenza (previa registrazione anagrafica, per testimoniare pubblicamente la cosa, e in qualche caso previa una certa durata della convivenza) pare sacrosanto, soprattutto di fronte alla tutela di chi sta in condizioni ‘deboli’ all’interno della coppia: subentro nei contratti di affitto, reversibilità pensionistica, graduatorie case popolari, informazioni sanitarie o giudiziarie, testamenti ecc.”. E non vale, continua Formigoni, sostenere che il codice prevede già alcune fattispecie e che le sentenze della Corte costituzionale hanno aperto la strada ad altri riconoscimenti: “senza una legge organica, in diversi casi questi diritti continuerebbero ad essere difficilmente sostenibili, a meno di costose pratiche giudiziarie”. “E che questo valga anche per le coppie omosessuali – aggiunge il presidente di “Città dell’uomo” – mi pare una semplice necessità di buon senso e di uguaglianza tra persone. Complementare diventa a questo punto la fissazione di alcuni doveri minimali, come l’impegno a contribuire al mantenimento del convivente debole dopo la rottura della convivenza: è un primo appiglio di stabilità per le coppie. Un impegno reciproco, anche se non codificato dal matrimonio. Si tratta di un aiuto a camminare verso un valore più pieno e completo!”. Su queste posizioni, “il disegno di legge presentato dal governo appare prudente ed equilibrato”, perché “non crea istituzioni nuove”, “non entra nel delicato e complesso discorso delle adozioni, rinvia al futuro la questione previdenziale”. Se Formigoni apre ai Dico, non risparmia critiche a coloro che, nelle settimane scorse si sono stracciati le vesti paventando, in caso di approvazione della legge, la distruzione della famiglia: “Che una legge di questo tipo ‘metta in discussione la famiglia’ e crei un fatto così grave da parlare di ‘dissoluzione della società’ o di ‘spartiacque nella vita del paese’, mi pare una esagerazione assoluta dei vertici ecclesiastici e dei loro amplificatori mediatici e politici. Lasciamo da parte l’infelice evocazione del linguaggio di Pio IX su Avvenire (dopo qualche decennio da quel non possumus si è notoriamente arrivati a sostenere che la perdita del potere temporale era stato un dono della Provvidenza!). L’enfasi si basa su un equivoco dejà vu: che una legge in queste materie ‘crei’ o almeno ‘favorisca’ un costume di precarietà dei legami. Ahimè, cari vescovi, qui il punto è il solito: i pretesi ‘valori non negoziabili’ sono stati abbondantemente negoziati in questi decenni di secolarizzazione spiccia nelle coscienze degli italiani, e sono continuamente negoziati ogni giorno. La precarietà dei rapporti è la regola”. Inoltre, “nessuna legge sulle coppie di fatto scoraggerà mai qualcuno che voglia veramente sposarsi, cioè fare una scelta civile in controtendenza assoluta nella mentalità corrente (non parliamo ancora di scelta cristiana, si badi bene). Anzi, indurrà forse qualcuno che riteneva di poter fare a meno di ogni vincolo a riflettere sulla stabilità della propria scelta”.L’arroccamento della Chiesa, spiega Formigoni, sembra dovuto alla frustrazione di “vedere il costume collettivo allontanarsi dai propri rigidi preconcetti”, che hanno come “logica preminente un ‘appello identitario’ nei confronti di quel piccolo manipolo sociale che è ormai l’istituzione ecclesiastica. Il messaggio appare limpido e forte: siamo minoranza ma una minoranza coesa e battagliera, riconoscibile e ‘visibile’ (espressione tra le più care agli innamorati cattolici della società mediatica). Quindi possiamo ancora influire sul corso delle cose”. Ma dentro questa apparente fermezza esiste anche la possibilità di un sottinteso “negoziato politico rispetto ad altre partite aperte (più si insiste sulla rigidità delle nostre posizioni, più convinciamo l’interlocutore a cedere su qualche altro punto)”. In ogni caso, “la Chiesa istituzionale non può scardinare il principio per cui l’iscrizione dei valori nella sfera pubblica è compito specifico della mediazione affidata ai laici credenti impegnati nella vicenda civile e politica. Non possiamo tornare a uno schema discendente del rapporto valori-legislazione. Il fatto che il cardinale presidente della Cei abbia fatto balenare l’ipotesi di un intervento ‘vincolante’ per la coscienza dei parlamentari è un fatto assolutamente inedito e disarmante. Andrebbe infatti contro l’art. 7 della Costituzione, rovesciando il principio secondo cui ‘Stato e Chiesa sono ciascuno nel loro ordine indipendenti e sovrani’. Indurrebbe una frattura di proporzioni indicibili nelle coscienze delle persone, mai vista nella lunga storia repubblicana. Altro che la richiesta di una ‘costituzione cristiana’, altro che le sventatissime e ciniche pressioni personali su De Gasperi, altro che i ‘punti fermi’ del cardinale Ottaviani contro il centro-sinistra! Niente di simile si è visto nemmeno ai tempi della legge sul divorzio, quando pure si giunse alla crisi di governo, nel 1970, per ostacolare il processo parlamentare della legge”. (valerio gigante)