RADICALI ROMA

Modificazioni legge n.75/'58, legge Merlin

Modificazioni ed integrazioni della legge 20 febbraio 1958, n. 75, concernente l’abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui

 

PROPOSTA DI LEGGE D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI:
BONINO, MELLINI, AGLIETTA, CICCIOMESSERE, FACCIO, TEODORI, TESSARI ALESSANDRO, PINTO, CALDERISI, ROCCELLA

 

Presentata il 22 dicembre 1982

 

SOMMARIO: Si propone la modifica della “legge Merlin” sulla prostituzione per eliminare quelle norme contraddittorie che di fatto fanno ricadere sotto i rigori della legge penale comportamenti necessariamente connessi alla “professione”. Fra questi l’uso di abitazioni per l’esercizio della prostituzione e la vita di relazione con persone diverse dai clienti. Vengono poi introdotte aggravanti per i reati di sfruttamento di minori e di persone tossicodipendenti e vietato il fermo di polizia per chi si offre alla prostituzione.
(CAMERA DEI DEPUTATI – VIII LEGISLATURA – DISEGNI DI LEGGE E RELAZIONI – N. 3835)

 

COLLEGHI DEPUTATI ! — Quasi ventiquattro anni fa entrava in vigore la legge 20 febbraio 1958, n. 75, meglio nota come «legge Merlin» dal nome della senatrice che ne fu la proponente.
Tale legge segnava la fine della prostituzione «regolamentata» e la chiusura delle cosiddette «case di tolleranza», espressione eufemistica con la quale venivano indicati i luoghi destinati all’organizzazione ed allo sfruttamento della prostituzione su licenza dell’autorità di pubblica sicurezza, case che pertanto non erano soltanto «tollerate» ma erano erette a sedi di prostituzione dallo Stato e dalla legge.
La «legge Merlin» segnò quindi per tale aspetto del suo contenuto, un fatto di grande rilievo positivo della nostra legislazione, oltreché nel costume del paese.
Quella legge peraltro non nasceva senza contrasti e contraddizioni tra le forze politiche e culturali che avevano concorso alla sua approvazione, contraddizioni che si riflettono manifestamente nelle varie norme in cui essa si articola.
Il decorso del tempo e, più ancora, le grandi trasformazioni culturali e di costume intervenute nel paese, consentono di affermare oggi che la disposizione che allora fu considerata la più significativa tra quante sono contenute in quel testo, quella cioè che imponeva la chiusura delle case di prostituzione autorizzate, debba essere ricordata tra quelle che hanno conseguito un risultato ormai acquisito al modo di essere ed al costume della nostra società. Altre disposizioni invece debbono essere annoverate tra quelle destinate a contendere quotidianamente con realtà e storture della nostra società e la cui efficacia deve essere valutata dai risultati destinati a prodursi ancor oggi e per il futuro. Lungi dall’aver esaurito la loro funzione all’epoca stessa della loro emanazione, esse costituiscono fonte legislativa pienamente attuale nei suoi effetti, in quanto relativa alla materia della prostituzione, alla posizione giuridica di chi la esercita, ai reati che la concernono, ai comportamenti ed agli obblighi delle pubbliche autorità di fronte a tale fenomeno.
Purtroppo è proprio quest’ultima parte quella che presenta le più gravi imperfezioni e contiene le più vistose contraddizioni e che, soprattutto, determina effetti in larga misura opposti a quelli che la legge si proponeva e che possono riassumersi con le parole stesse del suo titolo «lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui».
I principi fondamentali cui la legge in questione si ispira sono due.
Il primo è quello che criminalizza, senza le eccezioni conosciute dalla legislazione precedente con l’«autorizzazione» delle «case», ogni forma di sfruttamento, di tratta, di organizzazione e di favoreggiamento della prostituzione, con pene assai più rilevanti e fattispecie più late che per il passato.
Il secondo principio è quello della assenza di qualsiasi sanzione per la prostituzione in sé e della libertà delle persone che la esercitano da ogni vincolo, obbligo di autorizzazione o di registrazione, da ogni possibilità di schedatura e di controllo, fatta salva unicamente la repressione dei comportamenti di cosiddetto «adescamento» ed eventualmente di quelli previsti dalle norme generali del codice penale che prevedono reati contro il buon costume.
Ambedue i princìpi in sé considerati, possono essere positivamente apprezzati e sono validi, se opportunamente contemperati in modo da non elidersi e contraddirsi a vicenda, così da costituire una possibile base per una buona legislazione in materia.
Non vi è dubbio invece che nella legge 20 febbraio 1958, n. 75, la realizzazione di tali princìpi risulti tutt’altro che equilibrata e ben congegnata e che l’effetto di essa sulle condizioni di sfruttamento, di coercizione, di assoggettamento a molteplici forme di dipendenza e di esposizione a rischi assai gravi per la stessa incolumità delle prostitute, è stato quanto mai deludente.
La normativa penale che dovrebbe reprimere i fenomeni di sfruttamento della prostituzione, estremamente rozza, confusa nelle sue formulazioni per una evidente mancanza di chiarezza negli obiettivi della repressione penale e nella individuazione dei confini esatti delle fattispecie di reato, ha finito per porre sullo stesso piano comportamenti che meriterebbero invece considerazioni e trattamenti assai diversificati.
Basti pensare che un’unica norma penale prevede e punisce con la stessa pena lo sfruttamento e la costituzione e partecipazione ad associazioni con finalità di sfruttamento, la tratta internazionale delle prostitute e semplici atti di favoreggiamento e persino di mera tolleranza della prostituzione. La genericità, la contraddittorietà e l’estrema latitudine delle norme suddette ha fatto sì che anche la giurisprudenza che su di esse si è andata formando abbia avuto sviluppi tutt’altro che chiarificatori e talvolta addirittura sconcertanti.
Di fatto poi, attraverso l’azione di polizia in applicazione di queste norme penali, è accaduto che non solo lo sfruttamento della prostituzione, ma la prostituzione stessa venissero ad essere di volta in volta tollerati o repressi secondo criteri largamente discrezionali, se non a causa di abusi e connivenze, abusi resi tuttavia possibili e più facilmente dissimulabili in conseguenza dei già ricordati difetti della legge.
In sostanza la legge Merlin ha creato attorno alla prostituzione ed alle prostitute una atmosfera di presunzione di illiceità penale e quindi di pericolo di ricadere sotto i rigori della legge penale per una serie di comportamenti, la cui sussistenza tuttavia può considerarsi naturalmente e necessariamente connessa alla esistenza della prostituzione e delle prostitute. Queste debbono pur abitare in qualche luogo. Vi dovrà essere pure un luogo in cui le prostitute siano reperibili. Qualcuno dovrà dare una casa in affitto alla prostituta. La prostituzione dovrà essere esercitata in un luogo che qualcuno deve pur mettere a disposizione della prostituta in una forma qualsiasi. La prostituta avrà pur bisogno di una vita di relazione con altri che non siano i suoi clienti.
Invece l’equiparazione del semplice favoreggiamento allo sfruttamento, l’incriminazione, in pratica, ed almeno secondo certi interpreti, del solo fatto di dar ricetto ad una prostituta, di affittarle una casa, di tollerare la sua presenza in un locale pubblico, fa sì che attorno alle prostitute venga a crearsi un vuoto, non solo in ordine ad ogni esigenza connessa con l’esercizio della loro attività, ma per qualsiasi altro rapporto umano, un vuoto inesorabilmente destinato ad essere colmato da chi sia disposto a correre i relativi rischi, anche sul piano penale e non solo su quello morale, di fronte ai vantaggi che può trarne uno sfruttatore.
Così, mettendo sullo stesso piano chiunque abbia un qualche rapporto con una prostituta (per una evidente m
ancanza di chiarezza negli obiettivi della repressione penale), con lo sfruttatore, il taglieggiatore ed il tenutario del lupanare, si è finito col ribadire la catena che avvince la prostituta al mondo dello sfruttamento e della coercizione, si è contribuito ad indurre le prostitute a trovare negli sfruttatori la soddisfazione di esigenze che altri non potrebbero soddisfare con minor pericolo e con la prospettiva di essere diversamente considerati dalla legge.

 

In pratica, dunque, è la legge stessa, che dovrebbe costituire strumento di lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui (secondo l’indicazione contenuta nel titolo della legge), che efficacemente contribuisce ad affidare allo sfruttamento ed al ricatto tutta un’ampia zona della vita di relazione delle prostitute, anche quella non necessariamente e direttamente inerente all’esercizio della prostituzione.

 

In tale situazione è facile comprendere, come, specie in un momento della vita del paese tutt’altro che felice per lo sviluppo ed il consolidamento delle garanzie e dei diritti civili dei cittadini di ogni categoria, anche le norme della legge Merlin che si proponevano di sottrarre le prostitute all’assoggettamento ad un regime di vigilanza e di dipendenza, ad un controllo amministrativo e di polizia dell’esercizio della loro professione (articolo 5, commi secondo e terzo, articolo 7) fossero destinate ad avere ben scarsa efficacia. Non solo, ma persino le norme destinate a colpire lo sfruttamento della prostituzione altrui (articolo 1) paradossalmente sono state usate talvolta per colpire le stesse prostitute, interpretandole nel senso che la prostituta che eserciti la sua attività in casa propria sia responsabile della gestione di una casa di prostituzione e che due prostitute che abbiano in comune una casa dove pure esercitino la loro attività, ugualmente gestiscano una casa di prostituzione e sfruttino reciprocamente l’una la prostituzione dell’altra !
Tra quanti hanno a che fare con il fenomeno della prostituzione sembra che questa assai vaga, incerta e talvolta aberrante forma di penalizzazione, lasci indenni solo gli utenti, il che, anche da un punto di vista morale, o semplicemente moralistico, non sembra essere il meglio in fatto di coerenza.

 

E tuttavia l’ampiezza delle previsioni punitive non ha assolutamente prodotto la contrazione del fenomeno ed anzi ha consentito che esso si espandesse, con un aumento assai rilevante del giro di affari e di connessioni criminose.
Sembra anzi acquisito che il fenomeno della prostituzione non sia affatto destinato a declinare come conseguenza del mutamento del costume sociale ed in particolare di quello sessuale, in atto non soltanto nel nostro paese.
Semmai anche il fenomeno della prostituzione va trasformandosi. Accanto alla prostituzione, per così dire, tradizionale, emerge quella dei tossicodipendenti, sulla cui gravità non è necessario spendere troppe parole, che consente forme di sfruttamento oltremodo ripugnanti e socialmente pericolose. Così pure sembra che vada diffondendosi non solo la prostituzione occasionale, ma soprattutto l’organizzazione e lo sfruttamento, su base non più soltanto artigianale, di tale forma di prostituzione.

 

Sono dunque molteplici i motivi che impongono un riesame della vigente legislazione sulla materia e sembra matura una riforma di essa.

 

Colleghi Deputati ! La presente proposta di legge prevede una profonda ed ampia modifica della legge 20 febbraio 1958, n. 75, con l’abrogazione degli articoli 3, 4, 5, 6, 10, cui sono sostituite norme con le quali i delitti di sfruttamento della prostituzione vengono meglio individuati, circoscritti e differenziati.

 

Viene chiarito che per casa di prostituzione si intende quella in cui viene organizzata la prostituzione altrui e ne viene attuato lo sfruttamento. Viene esclusa la punibilità del mero favoreggiamento che non si risolva in forme di lenocinio, mirandosi inoltre a stabilire che lo sfruttamento punibile è quello consistente nella partecipazione agli utili della prostituzione, non a un qualunque vantaggio nella vita di relazione con le prostitute.

 

Vengono inoltre introdotte aggravanti per i reati di sfruttamento, oltreché di minori, anche di persone in stato di tossicodipendenza.

 

Viene abolito il reato contravvenzionale di «adescamento» (articolo 5, primo comma, della legge Merlin) dovendosi ritenere che sia sufficiente la previsione penale contenuta negli articoli 660 (molestia e disturbo alle persone) e 726 (atti contrari alla pubblica decenza) del codice penale, mentre la formulazione più lata e poco puntuale della norma oggi in vigore consente interpretazioni che talvolta hanno finito per penalizzare ogni possibile forma di profferta di prestazioni di chi si prostituisce, a meno di non ipotizzare comportamenti a loro volta molesti da parte degli utenti.

 

Alle disposizioni del secondo comma dell’articolo 5, relative al divieto di fermo per il reato contravvenzionale di cui al primo comma dello stesso articolo della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (comma di cui si propone l’abolizione) vengono sostituiti più ampi divieti di provvedimenti di polizia, nonché i divieti della adozione delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per il solo atto dell’esercizio della prostituzione.
Per ciò che riguarda i minori dediti alla prostituzione, si è ritenuto di dover precisare che i provvedimenti diretti a far fronte a tale loro condotta debbano essere adottati in sede giurisdizionale dal Tribunale dei minorenni o, in via d’urgenza, dal giudice tutelare, riconducendo in tale unica sede anche i provvedimenti di carattere sanitario che li riguardino, relativi sia a malattie veneree sia a stati di tossicodipendenza.
Per ciò che riguarda la profilassi delle malattie veneree, la cui diffusione, che sembra registrare nuovi dati allarmanti, non è oggi così intimamente connessa al fenomeno della prostituzione come per il passato, con l’affacciarsi, tra l’altro ed a quel che sembra, di forme di contagio tra i tossicodipendenti causate dall’uso sconsiderato di siringhe per iniezioni di droghe, si è ritenuto di non dover ricorrere a speciali misure di polizia o trattamenti obbligatori per chi eserciti la prostituzione, introducendo peraltro l’obbligo di assicurare, a chi sia sottoposto a trattamenti volontari o obbligatori di disintossicazione, la possibilità di usufruire di contemporanei trattamenti di eventuali affezioni veneree.
Colleghi Deputati ! La presente proposta intende affrontare un problema la cui gravità ed urgenza è stata da lungo tempo avvertita e che sembrava destinato a subire la sorte imposta a molte pur urgenti riforme dall’inerzia e dalle reticenze delle forze politiche di fronte a problemi, tanto più se scottanti, di costume e di moralità della vita.
I radicali si augurano che altre iniziative seguano e che non manchi a questa riforma l’apporto di altre forze politiche.

 

PROPOSTA DI LEGGE

 

ART 1

 

Chiunque gestisce, amministra o controlla una casa ove altri eserciti la prostituzione, o altrimenti organizzi, gestisca o controlli, anche senza la disponibilità di un apposito locale, la prostituzione di altra persona, è punito con la reclusione da tre a sette anni e con la multa da uno a dodici milioni di lire.

 

Le stesse pene si applicano a chi con violenza o minaccia o con abuso di autorità induce taluno alla prostituzione o gli impedisce di desisterne, o con gli stessi mezzi induce chi esercita la prostituzione a farlo partecipe del profitto.

 

E’ punito con la reclusione da quattro a dieci anni e con la multa da due a quindici milioni di lire chi induce alla prostituzione o impedisce che desista da prostituirsi una persona di minore età o in stato di tossicodipendenza o in condizioni psichiche minorate, o altrimenti partecipa al profitto della prostituzione di essa.

 

ART. 2.

 

Chiunque, al di fuori dei casi di cui all’articolo precedente, induce una persona all
a prostituzione o ne favorisce la prostituzione, allo scopo di parteciparne al profitto, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da uno a cinque milioni di lire.

 

ART. 3.

 

Sono abrogati gli articoli 3, 4 e 6 della legge 20 febbraio 1958, n. 75.

 

ART. 4.

 

L’articolo 5 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, è sostituito dal seguente:

 

«Non può procedersi al fermo, all’accompagnamento in un ufficio di pubblica sicurezza o ad altra forma di limitazione della libertà personale per il fatto che taluno si offra alla prostituzione, anche se con modalità tali da concretare una contravvenzione prevista dal codice penale, purché la persona sia munita di documento comprovante la sua identità.
In ogni caso non può ordinarsi la visita sanitaria per i motivi suddetti.
Non può procedersi all’applicazione di taluna delle misure di prevenzione di cui alla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, per il fatto che una persona sia dedita alla prostituzione. I provvedimenti adottati per tale motivo sono revocati e perdono comunque ogni efficacia».

 

ART 5

 

L’articolo 10 della legge 20 febbraio 1958, n. 75 è sostituito dal seguente:

 

«Il Tribunale dei minorenni con provvedimento preso in camera di consiglio o il giudice tutelare in via d’urgenza, sentito l’interessato, dispongono che il minore abitualmente dedito alla prostituzione sia riconsegnato alla famiglia dalla quale si sia a tal fine allontanato, disponendo, comunque, ove appaiano opportune, limitazioni e condizioni all’esercizio della patria potestà ed ordinando, ove occorra, che il minore sia sottoposto a trattamenti sanitari per la diagnosi e la cura di malattie veneree o per la disintossicazione da stati di tossicodipendenza.
Ove i congiunti dei minori suddetti non siano in grado di assicurare una idonea assistenza o quando comunque gravi motivi lo impongano nell’interesse del minore, il Tribunale dei minorenni dispone l’affidamento del minore ad altra persona, o ad un istituto di educazione, o ad uno degli istituti di patronato di cui all’articolo 8».

 

ART. 6.

 

Alla legge 22 dicembre 1975, n. 685, dopo l’articolo 100, è aggiunto il seguente:

 

«ART. 100bis. — Alle persone in stato di tossicodipendenza che ricorrano o siano sottoposte a trattamenti sanitari di cui alla presente legge debbono essere assicurati altresì gli accertamenti e le cure per eventuali affezioni veneree con modalità tali che consentano la contemporaneità di tali cure».