È l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne la leva su cui agire per reperire quelle risorse necessarie per finanziare la revisione dello scalone della legge Maroni senza intaccare l’extragettito fiscale.
Dopo l’offensiva lanciata nei giorni scorsi dalla sinistra radicale della coalizione, sono le componenti dell’ala moderata e riformista a scendere in campo con l’obiettivo di riequilibrare le posizioni all’interno della maggioranza sul delicato tema della previdenza.
In vista del Dpef, nel documento consegnato ieri dal vicepremier Francesco Rutelli al ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa, il leader della Margherita ha ribadito che «l’impegno a rivedere lo scalone» pensionistico della legge Maroni va attuato attraverso misure «assai graduali» da finanziare con risorse interne al sistema previdenziale. I Dl aprono all’introduzione di scalini, purché «non gravino sulla spesa pubblica», e non si intacchi l’extra-gettito fiscale. E per farlo indicano come soluzione l’aumento dell’età pensionabile delle donne o la riorganizzazione delle strutture degli enti previdenziali.
L’incremento dell’età pensionabile delle donne diventa così un nuovo terreno di scontro all’interno della maggioranza. Tra i principali sostenitori dell’equiparazione dell’età pensionabile tra donne e uomini c’è il ministro delle Politiche comunitarie, Emma Bonino, che da tempo sottolinea come la differenza di cinque anni prevista per le pensioni di vecchiaia non sia più sostenibile di fronte all’Unione europea che ha aperto una procedura d’infrazione per incompatibilità con il diritto comunitario della normativa nazionale. Nella Ue, ha spiegato la Bonino «tenendo presente che nei nuovi Paesi la situazione è più complessa», solo «Austria, Grecia e Italia non prevedono attualmente l’equiparazione dell’età pensionabile».
Su questo tema una è stata presentata una proposta di legge trasversale che, tra gli altri, reca la firma di Daniele Capezzone (Rnp) e di Bruno Tabacci (Udc), che prevede il pensionamento a 65 anni per tutti dal 2018.
Ma è tutta l’area “rifomista” che su questo tema è in subbuglio. Quattro esponenti della maggioranza—Lamberto Dini (Margherita), Enrico Morando (liberal Ds), Antonio Polito (Margherita) e Nicola Rossi (ex Ds) — in una lettera aperta al “Corriere della Sera” hanno giudicato «inaccettabile» l’utilizzo di ulteriori risorse della fiscalità generale per la spesa previdenziale: chi ha a cuore le ragioni dell’equità e la difesa d|ei più deboli — è la tesi dei quattro — non può che lavorare per un riequilibrio sia nelle politiche di bilancio che nella spesa sociale.
«Il confronto — aggiungono — deve svolgersi dentro i confini economico-finanziari definiti dal ministro dell’Economia Padoa-Schioppa. Si proceda alla stesura di un preciso elenco dei lavori usuranti e si conservi per l’universo dei lavoratori, l’innalzamento dell’età previsto dalla legge Maroni, che può essere gradualmente esteso anche alle donne, da aiutare invece nell’età fertile della loro vita».
Sul tema dell’equiparazione tra donne e uomini è stata, quindi, lanciata la controffensiva dai moderati. Non sfuggirà, infatti, che l’iniziativa dell’ala riformista è stata preceduta la scorsa settimana dalla lettera al premier di 4 ministri della sinistra radicale — Mussi, Ferrero, Bianchi e Pecoraro Scanio — che avevano puntato l’indice proprio contro la linea “rigorista” del ministro Padoa-Schioppa.
Ma la sinistra radicale non ci sta e torna a farsi sentire: «Siamo assolutamente contrari ad un aumento dell’età pensionabile delle donne come proposto nel documento della Margherita», ha tuonato Titti Di Salvo, capogruppo della sinistra democratica alla Camera, al termine della riunione della sinistra alternativa (Prc, Pdci, Verdi e Sd): «l’innalzamento — ha aggiunto — è una vessazione che noi non accetteremo». Tornano così ad agitarsi le acque nella maggioranza.