In un Senato spaccato a metà come una mela, di questi tempi voti così su un emendamento sono rari: dodici favorevoli, 48 astenuti, 240 contrari. Oggetto: l’eliminazione della norma che esenta gli immobili commerciali della Chiesa dal pagamento dell’Ici. Per i tre senatori dissidenti dell’Unione che avevano presentato la proposta – Gavino Angius, Accursio Montalbano e Roberto Barbieri – il momento non poteva essere più propizio L’altro ieri, da Bruxelles è partita la lettera della Commissione europea che chiede chiarimenti sulle agevolazioni fiscali a favore della Chiesa Entro trenta giorni il Governo Prodi dovrà spiegare quali siano esattamente i tipi di immobili che godono dell’esenzione. Il relatore dell’Unione alla Finanziaria, Giovanni Legnini, fino all’ultimo ha chiesto ai tre di ritirare una proposta che metteva sale grosso sulle ferite della maggioranza. Montalbano offre un compromesso, e fa eliminare l’inciso che avrebbe
imposto l’Ici «anche alle attività commerciali svolte non a fini di lucro». Ma l’emendamento 2.800 che avrebbe assoggettato le altre attività commerciali all’imposta comunale resta. E viene bocciato. Votano no quasi tutti i senatori del Partito democratico, dell’Udeur, di Forza Italia, Udc, Alleanza nazionale. «Questa norma è sconcia», tuona in aula Francesco Storace. «Si vuole cancellare ogni traccia delle attività sociali della Chiesa e non ci si preoccupa delle nascita di 700 moschee». La Lega lascia libertà di voto, ma l’ex ministro della Giustizia Roberto Castelli si produce in un commovente ricordo delle sue partite a calcetto all’oratorio: «Questa norma è stata voluta dal nostro governo e me ne vanto! Tassare queste attività solo per ragioni di natura ideologica è fuori luogo».
Fra le scrivanie della maggioranza schiacciare il tasto rosso è stato invece un complicato esercizio di realpolitik. Prima di farlo, i capigruppo dell’ala sinistra dell’Unione – Giovanni Russo Spena (Rifondazione), Manuela Palermi (Pdci-Verdi) e Cesare Salvi (Sinistra democratica) – discutono a lungo il da farsi. Votare no, assentarsi, astenersi. Alla fine i tre scelgono l’astensione (che in Senato equivale al voto contrario), salvo affidare alla più anticlericale delle senatrici – Rina Gagliardi – l’arduo compito di argomentare la «sofferta» decisione. Alcuni – come il Verde Mauro Bulgarelli – si dissociano «per non aumentare il disagio soggettivo». Altri – come l’ex repubblicano Antonio Del Pennino – votano sì senza indugio. Altri ancora, come l’ex liberale Valerio Zanone, pensano bene che l’unica cosa da fare è uscire dall’aula e non votare.
Paradosso vuole che se fosse stata approvata, quella norma avrebbe risolto il lavoro del governo con Bruxelles. Per la Commissione europea la norma voluta dal Governo Berlusconi e di fatto confermata l’anno scorso da quello Prodi potrebbe discriminare alcune attività commerciali (quelle ri-conducibili alla Chiesa) dalle altre. E se è così, per gli uffici della Concorrenza si tratta di aiuto di Stato. Nel governo ne sono così consapevoli che all’inizio di ottobre Tommaso Padoa-Schioppa ha insediato una commissione di esperti al ministero dell’Economia per definire cosa voglia dire l’articolo 39 comma 2 bis del decreto Bersani che – per non muovere foglia – escludeva dal pagamento dell’Ici le attività che non abbiano «esclusivamente» natura commerciale.
E però, se la maggioranza avesse votato a favore della proposta, si sarebbe certamente spaccata in due, con conseguenze devastanti per la tenuta del governo. Angius sparge sale: «Il Pd si dimostra ancora una volta prigioniero delle sue irrisolte contraddizioni e del ruolo dominante della componente Teodem. Ciò che veramente ha dell’incredibile è l’astensione dei senatori della sinistra». Ingoiato il rospo Russo Spena – già impegnato a disinnescare gli emendamenti degli ex Prc Rossi e Turigliatto e la rabbia dell’Udeur per l’astensione – schiuma di rabbia: «Un voto del tutto strumentale e da pierini. Non lo sanno che il Pd sulla Chiesa è spaccato? Se si ragiona così, Angius poteva pure presentare un emendamento che sancisce l’abbattimento del sistema capitalistico dal primo gennaio. Magari glielo votavo».