RADICALI ROMA

Niente imbarazzi: ricordate la fecondazione assistita?

  I tentativi di rimozione sono tanti. Ma l’oggetto di questi tentativi non vuole andarsene e continua ad aggirarsi come un fantasma scomodo nel dibattito politico. Parlo del referendum sulla legge 40 del giugno scorso e di come in particolare è vissuto nel centrosinistra. Nella vasta area di coloro che l’hanno appoggiato c’è una non dichiarata divisione di giudizio su quanto è avvenuto. Alcuni (quanti? non pochissimi!) pensano che sia stato un errore grave da coprire con un pietoso velo di silenzio, cercando intanto di evitare che «laicisti» e «femministe» facciano nuovi disastri. Quelli che l’hanno promosso restano invece convinti della validità di quella battaglia, disposti ad ammettere di aver sottovalutato – ma non ignorato – le difficoltà dei temi e dello strumento referendario, ma fiduciosi di aver messo in moto un processo capace di promuovere nuovi e più avanzati esiti per il futuro. Sono però una minoranza. Il grosso tace; perché ancora non ha maturato un giudizio definitivo. E poi perché parlare di quella che, sia pure a breve, resta una sconfitta è cosa spiacevole e si ritiene politicamente non pagante. Infatti la maggioranza tace soprattutto perché il tema è considerato scomodo alla vigilia delle elezioni politiche, di fronte all’esigenza di realizzare il massimo di unità della coalizione e di porre addirittura le basi di un nuovo partito, fatto insieme con quanti hanno osteggiato il referendum. Ma non si è mai visto che i problemi si risolvono ignorandoli.

 

 

 

 Il centrosinistra e i Ds prima di tutto dovrebbero capire che un dibattito aperto non sarebbe necessariamente foriero di lacerazioni, ma servirebbe a chiarire le posizioni e anche a costruire le possibili convergenze sui temi eticamente sensibili e sulle risposte che si possono dare ai dilemmi inediti posti dalla rivoluzione biologica. L’unica iniziativa meritoria in questo campo è stata ai primi di ottobre il convegno di Libertàeguale, non a caso intitolato «oltre la libertà di coscienza». Ma un imbarazzo altrettanto palpabile si avverte anche fra le componenti dell’Unione che si sono opposti al referendum, fino al punto di aderire alla campagna astensionistica. Se si esclude qualche iniziale sortita di Francesco Rutelli, la tentazione di presentarsi come vincitori in nome della «maggioranza astensionista» è stata frenata. Sicuramente fra i più avvertiti ha giocato la consapevolezza dell’ambiguità di quella maggioranza e di quell’esito. Per tutti comunque pesa la preoccupazione di non inasprire i rapporti dentro la coalizione nel momento in cui si avvicina l’esigenza di fornire con il programma della coalizione risposte anche su temi bioetici. Risposte cui non ci si potrà sottrarre all’infinito, né in nome della libertà di coscienza dei parlamentari, né tanto meno in nome di un pronunciamento popolare a favore della legge 40 che non c’è stato. Anche qui intanto tutto tace. In questa situazione di relativa bonaccia è arrivato nelle settimane scorse come un ciclone l’iniziativa Sdi-Radicali, non solo a complicare le mappe geografiche dell’Unione ma anche e soprattutto a rimettere in moto il confronto sulla laicità e la bioetica. Data la situazione di calma piatta, si può solo salutare questa iniziativa con il motto evangelico: «oportet ut scandala eveniant». Lo scandalo non è la richiesta di abolizione o di revisione del Concordato, anche se è quella su cui gioca di più l’effetto immagine. Lo scandalo è la domanda esplicita alla politica del centrosinistra di formulare un giudizio e di assumere una posizione di fronte all’attuale politica delle gerarchie cattoliche. Di fronte alla loro pretesa di trasformare in testi normativi i contenuti della dottrina religiosa. Di fronte alla richiesta di vedersi riconosciuto il ruolo di agenzia morale per una società che nel suo pluralismo è giudicata incapace di reggersi senza il fondamento della fede. Di fronte alla contestazione esplicita del confronto basato sul presupposto dell «etsi deus non daretur», cioè sulla ricerca di una comune base di consenso sui temi etici che prescinda da specifici punti di partenza religiosi o ideologici. Mentre invece la scommessa della laicità è tutta qui, nell’affermazione di un metodo che – come scriveva qualche giorno fa Aldo Schiavone – non è un confine da difendere, ma piuttosto «un bene da condividere». Questo bene non è mai stato messo così esplicitamente in discussione negli ultimi anni, come è avvenuto nelle vicende della legge 40 e nei mesi successivi al referendum.

 

 

 

 

 

Dopo la presunta vittoria del 12 e 13 giugno il Cardinale Ruini si è assiso come su un trono sulla montagna delle astensioni, presumendo che dall’alto di quella montagna di «buon senso popolare» si possa dettare la linea sui temi più nuovi della bioetica e su quelli più tradizionali dell’aborto e della famiglia. Un vero e proprio programma di riconquista della società italiana, non immaginato neanche ai tempi di presenza e di governo della Democrazia Cristiana. La strategia culturale è basata sull’accusa di nichilismo contro ogni visione della vita che non abbia il suo centro la religione e la sua conclamata coincidenza con la verità della natura e del diritto naturale. La strategia politica è basata su quelli che Sergio Romano ha chiamato i “guelfi laici trasversali”, capaci di presidiare l’uno e l’altro schieramento, facendosi forti della promessa di tradurre in termini elettorali la disponibilità verso le richieste delle gerarchie cattoliche. Che in questo i teocon della destra siano più bravi e spregiudicati di alcune componenti della Margherita, nulla toglie al significato di una reciproca strumentalizzazione fra Chiesa e singole forze politiche, sull’uno e sull’altro fronte. Eppure la posizione delle gerarchie cattoliche non è così forte come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale. Il vittimismo manifestato dopo le reazioni un po’ irriverenti di Boselli e Capezzone all’invadenza e all’arroganza manifestate in questi mesi dalla Cei, non convince proprio nessuno. Ricorda tanto la favola del lupo e dell’agnello. Però è significativo, perché tradisce un senso di debolezza più intimo che cova nella Chiesa italiana e che è frutto della cattiva coscienza della «vittoria» nel referendum. Infatti il ricorso al sotterfugio dell’astensione sui temi etici posti dalla legge 40 è stata una scelta tattica degna di un politicismo deteriore, ma moralmente pericolosa per la Cei. Su questo aspetto avevano richiamato l’attenzione per tempo alcuni cattolici illuminati, totalmente ignorati e messi a tacere dal trionfalismo del Cardinale Ruini.

 

 

 

Ora man mano i nodi vengono al pettine. Resta e sì accresce il turismo procreativo fuori dai confini nazionali. Resta la tragedia della coppie portatrici di malattie genetiche gravi o di Aids, tragedia che prima o poi arriverà all’esame della Corte Costituzionale. Ora scoppia la vicenda della pillola RU 486. Tutti questi temi e altri (si pensi alla compressione umiliante della ricerca scientifica sui terreni d’avanguardia della genetica) sono come gocce che scavano la pietra. La scelta della chiusura e il rifiuto della comprensione del mondo moderno (si vedano i Pacs) spingono le gerarchie su un terreno sempre più impervio ed esigente. È una sfida che la Chiesa è destinata a perdere, come è successo altre volte nella storia d’Italia e d’Europa. Bisogna confidare che la consapevolezza di questa situazione cresca anche nel mondo cattolico. Fra i dieci milioni di sì al referendum c’erano molti italiani credenti e praticanti. Ma nel mondo della politica attiva o meglio della politica che ha spazio nei media sono ancora troppo poche e flebili le voci che riescono a farsi sentire. Eppure di loro c’è bisogno. Lo sann
o bene anche coloro che si battono con più determinazione sul fronte della laicità e della resistenza alle pretese delle gerarchie cattoliche. Dal peso e dallo spessore che acquisiranno queste voci dipenderà in ultima istanza il successo e soprattutto il radicamento di quella particolare forma del centrosinistra italiano basato esplicitamente sull’incontro tra riformismo laico e socialista e riformismo cattolico. Soprattutto dipenderà la nascita effettiva di quel partito democratico di cui si torna a parlare in queste settimane con grande ottimismo verbale e profondo scetticismo di pensiero. Un progetto sicuramente capace di trasformare l’Italia, purché nasca su una cultura politica rinnovata e condivisa. A partire proprio da questi temi della laicità che invece ci si ostina illusoriamente a volere tenere fuori dalla porta.