Altro che dichiarazioni misurate, come vorrebbe il premier Romano Prodi. E chissà se basterà la Reggia di Caserta per rimettere insieme i pezzi di un’Unione litigiosa e sempre sull’orlo di una crisi di nervi. Mentre il Senato inizia la discussione in Commissione Giustizia, nelle stanze dei ministeri Pari Opportunità e Famiglia si registra lo zero termico, con grande soddisfazione della Cdl. Ieri su due quotidiani era apparsa la notizia che i progetti di legge sulle
unioni di fatto a cui il governo starebbe lavorando sono due: uno di Rosy Bindi (ministero della Famiglia) e uno di Barbara Poillastrini (Pari Opportunità). Altro che intesa, anche se Bindi ha corretto il tiro dicendo che «il disegno di legge sulle unioni civili sarà unico e sarà quello del Governo». Ha precisato che sta lavorando anche lei, e dunque, con Pollastrini «d incontreremo e il suo testo potrà avere anche il mio contributo. Si sta lavorando all’applicazione del programma dell’Unione dove non sono previsti i Pacs o un matrimonio di serie B. Ci limiteremo a riconoscere i diritti delle persone nel quadro di una Costituzione che privilegia la famiglia» tradizionale. In realtà le cose stanno diversamente. Da fonti molto vicine alla ministra della Margherita si è saputo che al ministero non hanno gradito affatto le anticipazioni che il responsabile dell’Ufficio legislativo delle Pari Opportunità, Stefano Ceccanti, ha fatto alla Stampa proprio sul merito della legge, prima ancora che la bozza arrivasse nelle sue mani. Sgarbo tra ministre (o collaboratori delle stesse), di questo si tratterebbe. «Si doveva procedere con un tavolo di lavoro perché in sede di consiglio dei ministri avevamo già avanzato i nostri dubbi sulla bozza a cui stava lavorando l’ufficio legislativo della Pollastrini», raccontano. Rosy Bindi non ha gradito neanche il fatto che la bozza della legge sia stata consegnata a mano «e non ufficialmente» ai suoi tecnici. Il vero nodo sono i diversi punti di vista, anzi «le diverse sensibilità», tra le due ministre. Uno su tutti: Rosy Bindi non è d’accordo con l’istituzione dei registri presso le anagrafi dei Comuni perché questo equivarrebbe a un riconoscimento di diritto pubblico, ipotesi quest’ultima invisa ai teodem. Che ieri hanno parlato per bocca di Enzo Carra, durante una riunione dell’esecutivo della Margherita: «I Pacs, a Caserta, non devono esserci». Che se ne parli in seguito, suggerisce, in Parlamento. Anche alla luce dei «due indirizzi diversi: quello del ministro Pollastrini e quello del ministro Bindi». Fuoco alle polveri anche da parte di Mauro Fabris, capogruppo dell’Udeur alla Camera: «No a colpi di mano sui Pacs. Non accetteremo una legge che vada oltre quanto sta scritto nel programma dell’Unione». Le reazioni da sinistra non si sono fatte attendere. L’Arcigay: «I ricatti confessionali dei teodem rischiano di inquinare non solo il vertice di Caserta, ma anche i pozzi della democrazia. Siamo pronti a una stagione di mobilitazione di piazza». Re raccoglie l’invito e annuncia battaglia. I Ds spingono per una legge entro breve tempo (Luciano Violante ricorda l’impegno preso con il programma) idem i Verdi. Francesco Cossiga annuncia che si rifarà a quanto indica il Papa, l’Idv mette il freno e si assesta sulle posizioni Udeur. La parola a Prodi.