RADICALI ROMA

Ora sei riforme per la crescita. L’Italia ci capirà

Non sottovaluto le difficoltà. Sono anch’io preoccupato per la grande fibrillazione di queste ultime settimane, e mi sforzo di comprenderne le ragioni. Ma il mio stato d’animo è di serenità, e soprattutto di fiducia. L’opinione pubblica oggi è incerta, ma presto capirà il senso profondo di ciò che stiamo facendo…”. Chiuso nel suo ufficio di Via XX Settembre, Tommaso Padoa-Schioppa ha sulla sua scrivania parecchie “carte da decifrare”. La Legge Finanziaria, che oggi passerà al Senato con l’ennesimo voto di fiducia, è diventata il catalizzatore del malessere sociale e del maldipancia politico. I flash d’agenzia raccontano le previsioni positive della Bce sul deficit, ma i giornali riportano sondaggi negativi per il governo e pessimi per il ministro dell’Economia. Prodi dice “Padoa-Schioppa è un grande ministro”, ma dai corridoi dei palazzi romani continuano ad arrivare gli echi di un possibile rimpasto a gennaio. Lui sdrammatizza: “C’è molta confusione – osserva – ma l’importante è non farsi travolgere, e mantenere lucidità e nervi saldi…”.

A parlare con Padoa-Schioppa, anche in queste ore di tempesta, non si avverte la sensazione di un uomo che si fa “travolgere” dall’onda del dissenso. E meno che mai di un ministro che si sente “a rischio” perché ha perso la bussola. “Cosa credete? Lo vedo anch’io che in questo momento sulla Finanziaria abbiamo un problema di consenso. Mi pongo il problema. So bene che in democrazia non si può prescindere dal consenso, e che anzi è necessario cercarlo sempre, nei limiti del possibile. Ma so altrettanto bene che inseguire il consenso giorno per giorno finisce per diventare una perdizione. Se non si ha ben chiara la direzione di marcia non si va da nessuna parte. Se non si adatta il cammino alle pieghe del terreno non si arriva al traguardo. Non dimentico la lezione di Walter Hallstein, presidente della Commissione Cee alla fine degli anni ’50: bisogna sempre andare dritto, diceva, e intanto con la mano faceva un gesto a serpentina, in cui però la serpentina seguiva una direzione precisa. Per me questa resta la miglior rappresentazione di come si debba conciliare il senso della direzione con le ondulazioni e le irregolarità del terreno. E in questa mio approccio ai problemi non c’entra niente il fatto che io sia un ministro tecnico: un ministro è un ministro, punto e basta…”.

Dunque, nonostante le critiche e le autocritiche che spingono gli alleati del centrosinistra a parlare di una manovra economica “senza anima”, o a descriverla come “un film senza il titolo”, Padoa-Schioppa conferma invece di aver ben chiaro l’approdo finale. Ed è persuaso che la mancata sintonia con il Paese sia solo una questione di tempo. “In democrazia la scansione dei tempi è essenziale. Prenda l’America, per esempio: caschi il mondo, le elezioni presidenziali si svolgono ogni quattro anni. Ci vuole sempre un tempo durante il quale il consenso ricevuto alle elezioni viene tradotto in politica. Se la politica è buona produrrà nuovo consenso. Ma non è detto che lo generi immediatamente. E non è detto che sia saggio cercarlo subito, e ad ogni costo”. La convinzione del ministro è che la Finanziaria sia una semina fondamentale, sulla quale vale la pena “scommettere tutto”, come ha detto Prodi, con la certezza che i frutti si raccoglieranno in una stagione successiva. Eppure il dubbio di aver commesso qualche errore comincia ormai ad emergere. Non solo dalle parole del premier, che rifarebbe tutto, “ma in modo diverso”. “È evidente che l’enorme fibrillazione politica di queste settimane ci deve preoccupare – riflette Padoa-Schioppa – e sicuramente il sistema politico si è presentato in un modo che ha contribuito ad alimentare il senso di incertezza e di cambiamento continuo. È vero che qualcosa non è andato come avrebbe dovuto. Ma sarebbe anche importante confrontarsi sulle questioni di fondo. Per esempio: era necessario fare una manovra di queste dimensioni? Si poteva fare con componenti diverse, cioè con riduzioni più massicce delle spese e senza interventi sulle entrate? E ci sarebbe stata una maggioranza in Parlamento in grado di approvare una Finanziaria diversa? Stiamo ai fatti, per favore: la manovra che è entrata e sta per uscire dal Parlamento è straordinariamente stabile nelle sue linee fondamentali. Dunque, da un lato c’è stata la sensazione che tutto cambiasse ogni giorno, dall’altro lato c’è il fatto che i muri maestri e le fondamenta non sono mai cambiati. Questo non si può dire che sia poco. È moltissimo”. E questo, per il ministro dell’Economia, è il dato più importante, che riporta il Paese sul sentiero del risanamento, e lo rimette in linea con l’Europa e i mercati. “Voglio dirle di più – aggiunge Padoa-Schioppa – e cioè che forse proprio questa sensazione di forte turbolenza è il segno che i muri maestri e le fondamenta hanno retto. Hanno ballato solo gli stucchi, e tutto il sistema mediatico e politico è stata attirato solo da quello. Ma il grande risultato è che abbiano tenuto le strutture portanti. Questi sono i fatti, che si possono documentare per tabulas…”.

Tuttavia, altrettanto documentabile è il senso di disagio e anche di scontento che attraversa il Paese. Senza parlare dei fischi al premier, “basta camminare per strada o fermarsi nei bar”, come ripete da giorni Emma Bonino. “È vero – risponde il ministro dell’Economia – anche questo disagio non va assolutamente sottovalutato. Ma come non si deve sottovalutare questo disagio, non si può neanche sottovalutare quel risultato. Provi a immaginare come si troverebbe oggi il governo, se dal Senato uscisse una Finanziaria stravolta, o se avessimo presentato una manovra che rinunciava a centrare gli obiettivi di risanamento concordati con la Ue? Questa sì che sarebbe una situazione di crisi. Non solo l’Europa e i mercati, ma tutte le persone ragionevoli di questo Paese ci rimprovererebbero per non aver colto l’occasione della prima Finanziaria della legislatura per imprimere una svolta. In quel caso sì, che mi aspetterei una critica. Di più: in quel caso me la meriterei al 100 per cento…”.

Oggi, viceversa, Padoa-Schioppa non si sente sul banco degli imputati. “Questa Finanziaria, nonostante le turbolenze, sarà approvata da tutta la maggioranza, compresi quei partiti che in 150 anni non avevano mai partecipato a responsablità di governo. Anche questi sono segnali importanti, che attestano una profonda trasformazione di cultura politica del nostro schieramento. Si può anche criticare onestamente una coalizione troppo vociante, ma poi con altrettanta onestà si deve constatare che la coalizione sta riuscendo a trovare una sintesi giusta non solo sulla Finanziaria, ma anche nella politica estera, sull’immigrazione, sulla bioetica. Tutte questioni su cui la pluralità delle culture e la difficoltà di trovare una sintesi vanno guardate con grande rispetto. Io credo davvero che questo governo e questa maggioranza stiano costruendo molto…”.

Ma molto resta ancora da costruire. E qui si innestano le polemiche tra Prodi da una parte, Fassino e Rutelli dall’altra. Il premier ritiene che non si debba parlare di “fase due”. Gli alleati obiettano che senza un nuovo slancio riformatore anche i sacrifici della Finanziaria rischiano di essere vanificati. Su questa disputa, politica e non lessicale, il ministro dell’Economia ha una sua certezza: “Il vero problema dell’economia italiana è la crescita. Il risanamento è condizione necessaria, ma non sufficiente per la crescita. Per questo, da gennaio, dobbiamo aprire una grande stagione di riforme. Io ho in mente almeno sei priorità: più concorrenza nei settori finora protetti, più produttività nel pubblico impiego, riequilibrio del patto tra le generazioni e quindi riforma del sistema pensionistico e sviluppo degli ammortizzatori sociali, assestamento stabile del federalismo fiscale smantellato nella legislatura passata, riscrittura del patto del ’93 non più in chiave anti-i
nflazionistica ma a sostegno della competitività. Tutto questo lo possiamo fare perché, grazie a questa manovra, voltiamo la pagina dell’emergenza finanziaria”.

Nell’attesa che si apra la pagina dello sviluppo, il centrosinistra si ritrova nella scomoda posizione di dover fronteggiare, allo stesso tempo, la protesta dei “borghesi” di Piazza San Giovanni e la contestazione degli operai di Mirafiori. “È chiaro che quello che è accaduto a Mirafiori mi è dispiaciuto, anche se non mi pare sia emersa una reazione di rigetto. C’erano persone che chiedevano spiegazioni, ed è giusto che le ricevano. Vede, quando si fa una manovra così complessa ci possono essere momenti di confronto, anche aspro. Ma ricordo conflitti molto più laceranti. Nel ’92, all’indomani di una drammatica caduta della lira uscita dallo Sme, e nel’96, alla vigilia di una temuta esclusione dall’euro nel ’96. Allora varammo l’aggiustamento in condizioni di emergenza finanziaria dichiarata, oggi lo facciamo con piena razionalità politica. Questo richiede un maggiore sforzo di spiegazione e di comprensione. Che poi situazioni di disagio sociale siano diffuse è talmente al centro dell’attenzione del governo che la manovra è in larga parte misurata proprio su questo. Ma queste situazioni non le ha create la Finanziaria, che semmai cerca di porvi rimedio, visto che attenua i carichi fiscali sul 90% della popolazione”.

Resta il fatto che i sondaggi registrano un ulteriore aumento dell’impopolarità del governo di centrosinistra, e soprattutto del ministro dell’Economia. “Il mio compito – è la sua replica – è di contribuire alla politica di cui il Paese ha bisogno, e di cercare di spiegarla nel mondo migliore. Se questa consapevolezza non è ancora maturata nell’opinione pubblica mi dispiace, e mi interrogo su cosa avrei potuto fare di meglio per renderla più comprensibile. Ma resto convinto che questa Finanziaria sia ciò di cui l’Italia ha bisogno. E sono fiducioso che prima o poi questa strategia venga compresa”. Viene da chiedersi se questa fiducia sia diffusa anche tra gli altri ministri. Torna alla memoria la solitudine di Guido Carli, che proprio nello stesso studio di Via XX Settembre visse come il marqueziano “generale nel suo labirinto” il rovinoso crepuscolo della Prima Repubblica. “Questa solitudine non mi spaventa – conclude Padoa-Schioppa – è giusto che ci sia e io la prendo come un segno di rispetto. Vuol dire che sulle questioni fondamentali è accettato e rispettato il principio che la decisione finale spetta al ministro dell’Economia. Questa solitudine rientra nello spirito di squadra: anche il portiere sta solo, a difendere la porta…”. Anche la solitudine, in fondo, fa parte della “missione”. Aspettiamo che il governo la renda visibile. E speriamo che il Paese la capisca.