RADICALI ROMA

Ospedale di Vibo: tutti primari

 

Amate il brivido? Venite a farvi ricoverare a Vibo Valentia. Dove c’è perfino un chirurgo che s’è fatto esentare dalla sala operatoria perché ha un debole per il vino ma è stato premiato lo stesso con l’«alta specializzazione». Concessa, dalla generosa Asl vibonese, alla bellezza di 153 medici. Oltre ai primariati di serie A, a quelli di serie B, alle direzioni varie… La più alta densità planetaria di luminari. La storia dell’ultimo anno, in realtà, dice qualcosa di diverso. Basti ricordare il caso di Federica Monteleone, la sedicenne morta dopo un blackout elettrico mentre era sotto i ferri per una banale appendicectomia. O quello di Eva Ruscio, l’altra ragazzina deceduta un mese fa dopo il ricovero per un ascesso alle tonsille. O ancora quello di Orazio Maccarone, il vecchio morto il giorno di Santo Stefano dopo quattro ore al pronto soccorso, ore che il figlio Michele ricorda per la difficoltà di parlare con certi medici dall’approccio «superficiale e strafottente». Insomma: un ospedale inaccettabile in un Paese civile. Sgarrupato. Sporco. Come buona parte delle strutture sanitarie calabresi. Al punto di spingere la stessa Livia Turco a scendere la vigilia di Natale a Lametia Terme per incontrare i familiari delle vittime. E sono gli stessi medici (meglio: una parte dei medici) a denunciarlo. Come Michele Soriano, il primario di ortopedia che a metà ottobre mandò una lettera al presidente regionale: «L’ospedale è in coma». Colpa degli organici gonfiati. Dei direttori generali «addomesticati» via via «inviati da Catanzaro a sbarcare il lunario». Dei sindacati medici «lontani anni luce dalla gente che lavora ». Parole dure quanto quelle del direttore sanitario Pietro Schirripa, vicino al vescovo di Locri Giancarlo Bregantini: «Abbiamo almeno 400 esuberi nel settore amministrativo ». O ancora del neurologo Domenico Consoli: «Purtroppo la classe medica vibonese, con le debite eccezioni, non è libera. È debitrice verso gli elargitori di prebende di carriera». Il governatore Agazio Loiero ha promesso «piazza pulita». Le autorità hanno chiuso un po’ di reparti a rischio. Il comando regionale dei Carabinieri è stato allertato per 98 «documenti di rilevante interesse» e informato di 132 contestazioni disciplinari contro singoli dipendenti e ditte appaltatrici. L’attività di qualche sala operatoria è stata fermata per «mancanza di anestesisti».

 

 

NOTA SURREALE – Una nota (surreale) ha disposto che «il primario anestesista dovrà essere in servizio, anche come seconda unità, rispettando rigorosamente l’orario », come se non lo facesse mai. E da Roma dovrebbe arrivare oggi il prefetto Achille Serra, mandato a guidare una commissione d’inchiesta sulla sanità calabrese composta di persone in larghissima parte estranee alla Regione e alla politica locale. Politica toccata appena due giorni fa dall’ultima condanna: cinque anni a Giorgio Campisi, del-l’Udc, riconosciuto colpevole con Armando Crupi, già direttore generale dell’Azienda sanitaria, di un giro di tangenti che ruotava intorno all’appalto per il nuovo ospedale di Vibo Valentia. Un panorama da incubo. Tanto più che il «nuovo ospedale» era già stato promesso da un ventennio. Di più: gli allora responsabili della Asl, Michelangelo Lupoi e Rodolfo Gianani, assicurarono nel 1999 al vostro cronista che di ospedali nuovi ne avevano in mente due: uno a Nicotera (a 40 chilometri di tornanti dall’autostrada) per farne «un “Gaslini” del Sud ed evitare i viaggi della speranza al Nord» e uno appunto a Vibo per un totale di cento miliardi di lire: «Anche noi come a Padova abbiamo previsto di metterci un anno e mezzo a costruirlo!», spiegava l’uno. «Un anno e mezzo!», gli faceva eco l’altro. Un decennio dopo, non è stata ancora posata la prima pietra. E non sono stati ancora chiuse le decrepite strutture ospedaliere di Vibo e Nicotera più quelle (un po’ di ricoveri, un po’ di day hospital, un po’ di ambulatori) di Soriano, Tropea, Serra San Bruno e Pizzo Calabro. Dove svetta immortale l’opera incompiuta più incompiuta del pianeta: un ospedale iniziato nel ’49 (l’anno del debutto a teatro del Quartetto Cetra) e mai aperto nonostante i premurosi amministratori avessero già comprato centinaia di scarpe per le infermiere da assumere. Scarpe col tacco alto, da spogliarellista. Sono ancora tutte lì, quelle sei strutture ospedaliere. Esattamente come 10 anni fa: sei per una provincia di 170 mila abitanti. Per questo Vibo è il posto giusto. Perché qui puoi vedere, in un contesto allucinante con radici nel passato che neppure le persone di buona volontà sono riuscite a cambiare, come sia stata stravolta la «nuova organizzazione dell’ospedale moderno ». Ricordate? Si era detto: basta poltrone a vita, basta baronie, basta automatismi. D’ora in avanti, ai medici, solo incarichi a tempo da 3 a 5 anni. Premi in carriera e in denaro ai meritevoli. Valutazioni periodiche. Rimozione e retrocessione per gli scadenti. E massimo riconoscimento alle capacità professionali con l’introduzione di sei «fasce di responsabilità professionale».

 

 

 

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TUTTI DIRIGENTI – Tutti «dirigenti», ma con peso crescente in base alla preparazione. Spiegare ogni fascia non ha senso. Basti dire che grossomodo le tre superiori sono: dirigente di struttura semplice (una specie di vice-primario), dirigente di struttura complessa (il primario di una volta), dirigente dipartimentale con incarichi direttivi. Cosa è successo, nel tempo? Che come in altri casi (si pensi ai 3.769 dirigenti ministeriali tutti benedetti con la valutazione «ottimo») i premi sono stati spartiti e distribuiti a pioggia. Per dare qualche soddisfazione. Per garantire un ritocco agli stipendi. Per consolare i depressi. Fatto sta che (anche per colpa del «caos valutativo», denuncia Stefano Biasioli, segretario nazionale della Cimo, il sindacato dei medici schematicamente considerato a destra che recentemente se l’è presa anche con le nomine dei direttori generali «amici» fatte da Giancarlo Galan) è successo un po’ ovunque. Dalla Lombardia alla Sicilia. Al Sud, però, in forme abnormi. Prendiamo appunto l’Asl di Vibo Valentia, dove secondo l’avvocato Giuseppe Pasquino, c’è nel mondo sanitario «un carrierismo sfrenato, sostenuto da politica e massoneria, che porta ai vertici più alti gente spesso incapace». Sapete quanti sono i dipendenti? Oltre 1.900. Dei quali 386 medici (115 in ospedale, gli altri «fuori sul territorio»), 680 infermieri e tecnici (220 in ospedale, gli altri «fuori»), 140 ausiliari (16 in ospedale, gli altri «fuori»), 650 impiegati amministrativi e tecnici, dei quali solo 10 (dieci!) in ospedale. Il tutto per un totale di 200 letti e 191 ricoveri medi giornalieri. «Non è una Asl, è uno spezzatino — sorride Carlo Lusenti, segretario nazionale dell’Anaao —. Noi a Reggio Emilia, con lo stesso numero di persone, mandiamo avanti una struttura col quadruplo di letti, servizi d’avanguardia e professionisti di livello internazionale ». Anche a Vibo, sulla carta. I numeri dell’Asl sono sfolgoranti: 40 primari, 85 dirigenti di strutture semplici e 153 medici ad «alta specializzazione ». Compresi molti che, allo stesso tempo, non possono esercitare perché hanno il certificato di inidoneità. Al dipartimento materno infantile ad esempio, tra medici e infermieri, sono circa la metà: il 45%. Ma che te ne fai di un ostetrico che non può assistere ai parti?