RADICALI ROMA

Padoa-Schioppa e le mie ragioni

  Caro direttore, il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ha voluto ieri alimentare il dibattito pubblico su Università e Ricerca, intervenendo sulle colonne del Corriere. Vorrei anch’io dare un contributo, perché possano essere esattamente individuati gli irrisolti punti di criticità della legge Finanziaria in discussione. Fuori discussione, naturalmente, è l’esigenza di risanamento del bilancio, nella quale tutto il governo è impegnato, e alla quale tutto il Paese dev’essere chiamato. Su Università e Ricerca, in Finanziaria ci sono alcune cose nuove e importanti.

 

 

 

Intanto risorse aggiuntive per il nuovo Fondo unico per il finanziamento della ricerca («First»), e per il Fondo per l’innovazione industriale per un importo complessivo nel triennio di 2,1 miliardi. Poi c’è un fondo per un piano straordinario di assunzione dei ricercatori delle Università, 140 milioni nel triennio (vale 2 mila nuovi posti a regime), e un fondo per l’assunzione di ricercatori negli Enti di ricerca, rastrellato nelle pieghe del bilancio attuale del mio Ministero, di 37,5 milioni (vale 700 nuovi posti), più lo sblocco del turn-over negli Enti di ricerca, più i prevedibili effetti delle norme generali di contrasto al lavoro precario. Forse è solo un’increspatura sulla superficie del mare magnum del precariato e della esclusione giovanile nel campo della formazione superiore e della ricerca scientifica, ma qualcosa si è mosso. C’è spreco, in questi campi? Certamente sì, ma in Finanziaria, e nel decreto legge collegato, vorrei ricordare che appaiono norme che possono cambiare radicalmente il quadro del governo del sistema: lo stop duro ai processi di frammentazione e proliferazione di sedi e insegnamenti; l’istituzione dell’Agenzia di valutazione dell’Università e della Ricerca, sulla base dei cui giudizi si assegnerà una quota crescente delle risorse pubbliche. Tommaso Padoa-Schioppa ricorda nel suo articolo che il Fondo di finanziamento ordinario delle Università sale da 6,9 miliardi a 7 miliardi (meno del 2%: il che vuol dire che intanto l’inflazione se lo mangia un po’). Un’accresciuta parte finisce automaticamente agli incrementi stipendiali previsti dalle leggi esistenti. In più, agisce il taglio del 20% dei consumi intermedi previsti dal decreto «taglia- spese» di luglio.

 

 

 

L’Italia investe nell’Università, complessivamente, lo 0,88% del Pil attuale: se dunque il Pil crescerà quest’ anno vicino al 2%, dati i numeri che ho esposto, è evidente che andiamo verso una riduzione della percentuale rappresentata dagli investimenti in formazione superiore. Veniamo agli enti pubblici di ricerca. Avevano 1630 milioni nel 2006, ne abbiamo messi in Finanziaria 1629 per il 2007: anche qui, il 2% se lo mangia l’inflazione. Su questi enti agisce pienamente l’articolo 53 della Finanziaria, che solo sul loro budget accantona 207 milioni. Poi agisce il taglio del 20% dei consumi intermedi. Qui siamo a riduzioni nette di finanziamento diretto vicine al 25% in termini reali. Il che vuol dire che dovremo fermare una parte dei laboratori, uscire da una parte consistente dei progetti internazionali, e che il nostro sistema pubblico non sarà in grado di utilizzare pienamente né il First né le risorse del VII programma quadro europeo, che vale 53 miliardi in 7 anni e parte il prossimo. Il sottosegretario Sartor, alla Camera, ha annunciato ulteriori 60 milioni per l’Università «a compensazione» del taglia-spese, e 50 per il First. I primi non compensano, i secondi sono inutili se si compromette il normale funzionamento degli atenei e degli Enti di ricerca. C’è da fare perciò qualche mirata correzione, come si vede. Non oso pensare agli «obiettivi di Lisbona». Mi basterebbe un programma per risalire alle medie Ocse in 5 anni: il che vorrebbe dire ulteriori 5 miliardi all’Università, 7 alla Ricerca. Questo è un anno «magro». Sacrifici devono farne tutti. Si può anche restare sostanzialmente fermi, persino in campi da cui ormai dipende, in tutto il mondo, la qualità e la solidità vera dello sviluppo. Se però si torna indietro, addio.