RADICALI ROMA

Padoa-Schioppa sostiene la bontà della sua manovra

Ministro, gliel’hanno ammaccata parecchio la legge finanziaria. L’ha detto lei stesso, o sbaglio?
«Sì, l’ho detto. Il disegno di legge finanziaria si è fatto realtà procedendo in mezzo a strattoni. Il problema è se ne sia uscito conservando il suo peso complessivo e grosso modo la sua forma; e la mia risposta è sì. Le ammaccature sono l’elemento che segna la differenza tra il pensiero astratto e la cosa concreta. Troppo facile descrivere una legge finanziaria ideale, come certe architetture che si vedono nei quadri del Rinascimento. Mi irrita l’idea che si possano progettare le cose in astratto, e che poi basti il coraggio per imporle. Non saper fare i conti con la realtà la trovo una mancanza etica, non solo intellettuale».

Lei è contento del risultato. Altri ministri si dicono insoddisfatti.
«Il buon compromesso, si sa, è quello che scontenta ciascuno un po’. Piuttosto, io vedo il rischio che avendo fatto qualche cosa di assolutamente straordinario, ci colga una specie di depressione dopo il parto…».

Straordinario?

«Abbiamo tirato fuori i conti pubblici dalla zona rossa e lo abbiamo fatto in maniera strutturale. Ci siamo liberati da un assillo che avrebbe percorso i prossimi anni. Abbiamo fatto una redistribuzione che a molti può non piacere ma che ha forti elementi equitativi e di sostegno alle imprese; abbiamo rifinanziato importanti iniziative sociali. D’accordo che non bisogna prendere lucciole per lanterne, ma neanche bisogna prendere lanterne per lucciole. Questa è una lanterna».

Mi indichi dov’è la riduzione strutturale delle spese
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«Il nuovo piano per la sanità segna un cambiamento profondo. E la spesa sanitaria 2007 sarà più bassa della spesa 2006, dopo diversi anni di crescita al ritmo del 6-7% annuo».

Nel 2006 sarà altissima
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«Tanto che le addizionali di imposta rischiano di scattare in quasi tutte le Regioni, non soltanto in sei come è successo sui conti del 2005: troveremo una soluzione. Quanto alla previdenza, abbiamo accettato di separare la riforma dalla manovra 2007 perché in effetti nessuna riforma pensionistica è stata mai forzata dentro una legge finanziaria. Ma abbiamo preso garanzie che non si trattasse di un accantonamento, perché il memorandum firmato con i sindacati contiene novità fondamentali: vi si riconosce che c’è un problema di tensione finanziaria nei sistema previdenziale, e che c’è un problema serio di equità tra le generazioni…».

Che i sindacati finora negavano
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«Sì, e si indica come soluzione l’allungamento della vita lavorativa. Nel terzo grande comparto, gli enti locali, abbiamo un avvio serio del federalismo fiscale, nel senso che se ne realizzano i due elementi cardine, libertà e responsabilità. Gli enti locali non hanno più tetti di spesa e quindi possono manovrare le loro risorse, ma sono responsabilizzati nel senso che hanno acquisito leve fiscali che possono, non devono, manovrare; possono benissimo contenere la spesa per non azionarle».

E dov’è che si tagliano davvero le spese dello Stato?
«In questo ministero, che accentrerà nei capoluoghi di Regione la sua rete di uffici provinciali; nel ministero della Difesa, che cederà al Demanio caserme ormai non necessarie, la cui trasformazione cambierà il volto di molte città. Nella scuola si comincia una azione di riforma vera, per portare il rapporto tra insegnanti e discenti a livelli simili a quelli di altri Paesi. Si fa più di quanto sia stato mai fatto negli ultimi decenni; e questo è solo un principio».

Quali sono gli ostacoli?
«Bisogna agire su quella che io chiamo la corazza protettiva del sistema attuale, che è fatta di leggi, contratti, regole contabili e tanto altro. Per esempio la normativa che regola l’assegnazione dei fondi a precisi capitoli di spesa, per cui non si può trasferire una somma in eccesso a un altro capitolo dove serve. Vi tengono molto sia i parlamentari perché pensano che l’espressione della loro sovranità stia nel decidere dove vanno i soldi settore per settore fino all’ultimo euro, sia gli apparati ministeriali perché sono divisi in feudi ognuno dei quali sente di avere la proprietà dei suoi capitoli di spesa».

Tagliate la spesa da una parte, l’aumentate dall’altra. Molti dei “fondi per lo sviluppo” sembrano contentini dati a questo o a quel ministro.
«No, no, no. Molti dei contenimenti di spesa frenano la spesa corrente vera e propria, nel senso di personale e apparati amministrativi. Mentre molte delle spese nuove vanno ai cittadini, nei vari fondi sociali per esempio». Certi ministri vedono in lei il tecnico che non tiene conto delle loro esigenze politiche… «Io un malumore contro il tecnico non l’ho percepito. Casomai un malumore contro la tecnica, nel senso della tirannia dei numeri».

La rimproverano di essere stato troppo gentiluomo per porre in rilievo quanto è gravosa l’eredità del governo precedente.

«E’ del tutto falso. Posso essere stato signorile nei confronti delle persone; non sono certo stato indulgente o reticente nei confronti dei fatti. Ad esempio sono stato io ad impostare la verifica da cui sono risultati 115 miliardi di opere pubbliche finanziariamente non coperte. Inoltre, una delle ragioni per cui l’eredità ricevuta è pesante si è rivelata a poco a poco. E’ lo stato di disidratazione in cui abbiamo trovato il corpo dello Stato, per il prosciugamento indotto in modo irrealistico, direi anzi surreale, da pure e semplici riduzioni di cifre. Quando la finanziaria 2006 riduceva da 3000 a 300 lo stanziamento per le Fs, non decideva di smantellare le ferrovie, gli dava meno soldi. Così per l’ambiente, il turismo, la cultura. Abbiamo dovuto ridare un po’ di acqua all’assetato».

Dunque Tremonti…

«Questo stato di patologia dei conti pubblici fa capire perché egli abbia sostenuto che una manovra da 30 miliardi era impossibile: perché in un certo modo l’aveva già fatta lui».

Rifondazione comunista vuole fare «piangere i ricchi», chi difende i ricchi strilla di non tartassare i ceti medi. Non c’è il senso che occorre compiere uno sforzo condiviso.
«Ne è sicuro? In queste settimane, io ho parlato soprattutto con il Paese, più che con i palazzi romani e con i giornali. Ho parlato con amministratori locali, senza distinzione di parte politica, con organizzazioni sindacali sia del lavoro sia dell’impresa, e la mia impressione è stata che la necessità di uno sforzo comune fosse compresa. Non vorrei che il circuito della politica e dei mezzi di comunicazione di massa valesse come unico termometro del senso che gli italiani hanno della condizione del loro Paese».

A proposito di umori del Palazzo, a Montecitorio si sente una chiacchiera: Padoa-Schioppa arriva solo fino all’Epifania.

«L’Epifania? Di quale anno?».