La Quercia ha paura della Rosa nel pugno. La martellante campagna di Boselli e dei radicali sulla laicità dello stato ha finito per innervosire di brutto i leader diessini, costringendoli a violare l’impegno tacitamente assunto a evitare l’argomento più spinoso per quanto riguarda il listone oggi e il Partito democratico domani.
Ma le paure della Quercia sono niente se paragonate a quelle della Casa delle libertà. E anche nel centrodestra la preoccupazione si è impennata negli ultimi giorni. Era palese, a livelli quasi imbarazzanti, nella puntata di Ballarò che ha visto un premier innervosito e francamente irritato, sino all’accusa di «adulterio» rivolta a Emma Bonino. Il premier non è solo. Ieri è partito alla carica anche Gianfranco Fini: «Non riesco a capire come Pannella e la Bonino possano stare nel centrosinistra. Il loro patrimonio ideale è più rappresentato nel centrodestra che non in quella Babele ideologica che è il centrosinistra». Un ennesimo quanto inutile: «Marco, Emma, ripensateci!».
L’eccezione, nei ranghi della Cdl, è rappresentata dall’Ude, e lo si può capire. Per i cattolici del centrodestra i radicali erano una spina nel fianco. Non possono che rallegrarsi del passaggio dall’altra parte della barricata di un partito la cui identità era direttamente antagonista alla loro. Ma per Fini e in misura molto maggiore per Berlusconi il discorso è opposto.
L’alleanza tra i radicali e il centrosinistra pone al cavaliere due ordini di problemi, entrambi spinosissimi. Il primo è di carattere strettamente materiale, si misura in termini di voti sonanti. Quel che il cavaliere teme non è tanto un possibile travaso di voti dai forzieri del centrodestra al salvadanaio radicale. L’eventualità è impossibile per quanto riguarda An, l’Udc e la Lega, e piuttosto remota anche per Forza Italia. In compenso sin dai lontani anni ’70 i radicali si sono mostrati uno dei partiti più capaci di intercettare il voto di protesta e quello «indeciso» o «smarrito».
La possibilità che la Rosa, partito anomalo anche all’interno del centrosinistra, smarcatosi persino sulla sottoscrizione del voluminoso programma, si riveli una calamita in grado di attrarre una parte degli elettori tentati altrimenti dall’astensione è alto. Secondo i conti di Arcore, la sola possibilità di recuperare lo svantaggio e battere l’Unione è rappresentata proprio dalla chiamata a raccolta delle fasce astensioniste e su questo fronte la sirena radicale rappresenta un rivale pericolosissimo.
lì secondo motivo di cruccio, per il premier, tocca l’identità stessa del suo Partito. Forza Italia era nata, nel ’94, come formazione «nuovista» e per niolti versi non troppo distante, almeno in apparenza, dalla linea liberale, liberista e libertaria dei radicali. Nell’arco di dodici anni il partito del cavaliere ha modificato sempre più profondamente il proprio dna, fino a proporsi come formazione cattolica non priva di tentazioni integraliste, assai più vicina ai «teo con» che non alla Rosa di Pannella. Ufficialmente però, pur smentendole quotidianamente nella pratica, non ha mai rinnegato le sue origini. Al contrario non ha mai smesso di sbandierarle e vantarsene. Da questo punto di vista l’amichevole dialogo con i radicali ha rappresentato dalla nascita di Forza Italia in poi la foglia di fico che permetteva a Berlusconi di optare per una politica sempre più integralista e conservatrice mantenendo però i legami con quella robusta porzione del suo elettorato laica e liberale. La defezione di don Giacinto ha fatto cadere quella foglia di fico. E il rischio che una parte del deluso elettorato laico scelga di conseguenza la letale astensione è uno degli incubi che angosciano il cavaliere.