RADICALI ROMA

Pannella: pronto per l'Unione. Ma su di me c’e un veto vaticano

  Pannella, scrive Vincino che ci voleva il padre del divorzio per riunire i socialisti.
«E’ un lascito di Bettino, che me lo chiese nel ’93. “E’ il tuo turno”, mi disse. Gli risposi di no. Era la stagione famosa e famigerata in cui riunivo i deputati inquisiti alle 7 e 30: reso libero dalla crisi dei partiti, quello era il migliore dei parlamenti possibili; dall’altra parte i nuovi colonnelli, i magistrati, preparavano il golpe. Amato aveva gia fatto il salto, Craxi era preoccupato. Non mi convinse. Si offrì di telefonare a tutti i compagni socialisti. Ma allora non era possibile».
Ora sì: Bobo Craxi, De Michelis, Boseili. E lei.
«Ma non è questo il senso del progetto. Che riguarda il futuro, non le antiche rovine. Non si tratta di ricostruire le vecchie case, ma di creare un soggetto nuovo, socialista, laico, liberale; che si allei all’Unione affinché l’alternanza sia il primo passo per l’alternativa. E un soggetto nuovo deve nascere da partiti rinnovati. Noi lo faremo».
Il partito radicale è il più vecchio in circolazione: il 15 dicembre compie cinquant’anni.
«Entro quella data ci sarà la nostra autoriforma, o la nostra morte. Cambieremo nome. Diventeremo un transpartito: nonviolento, radicale, transnazionale. Un’assemblea di parlamentari di diversi partiti e diversi paesi dovrà eleggere metà del nostro consiglio generale. Solo così i radicali potranno vivere altri cinquant’anni».
Lei da tempo chiede alla sinistra “ufficiale” di chiedere perdono a Ernesto Rossi e Salvemini. Vale anche per Craxi?
«Sono sempre stato contrario alla demonizzazione di Craxi. Questo non mi ha impedito alla Camera di ribattere duramente, e da solo, al discorso in cui chiamava ognuno a correo per le tangenti. I nostri riferimenti espliciti sono Fortuna, Zapatero, Blair. Potrei citare anche Ignazio Silone, che lasciò la sua scrivania di lavoro alla nostra lega degli obiettori di coscienza. Lord Beveridge, il liberale che progettò il welfare del laborista Attlee. Il socialismo fabiano. Aldo Capitini. L’eco gobettiana. Il cattolicesimo liberale da Buonaiuti a Pettazzoni. Romolo Murri, sacerdote e deputato radicale. Azionisti come Guido Calogero».
Più modestamente, Fassino ha chiuso la festa dell’Unità dicendo che siete i benvenuti nell’Unione. I rapporti con i Ds stanno migliorando?
«Ero il leader dell’Ugi quando Togliatti accettò di sciogliere l’organizzazione degli universitari comunisti nella nostra. Nel ’58 proposi con un fondo su Paese Sera l’unità delle sinistre democratiche e comuniste; sempre Togliatti rispose due mesi dopo, con uno dei suoi ultimi documenti politici di spessore, per dire di no. Su divorzio e aborto mi scontrai con l’ostilità dei capi comunisti, ma il loro popolo si abbracciò».
E adesso?
«Non mi ha chiamato nessuno. Né Emma Bonino né io abbiamo ricevuto una telefonata da uno dei leader dell’Unione».
C’è un veto su di lei, Pannella?
«Mi pare evidente che ci sia un veto vaticano. Naturalmente non un’indicazione espressa, ma un chiaro vincolo psicologico. E’ scattato già prima delle regionali: la maggioranza del centrosinistra voleva accordarci ospitalità, che ci fu negata appena si profilò il nome di Luca Coscioni. Anche allora nessuno ci chiamò. Neppure i candidati, neppure, a Roma, Marrazzo. Non ci chiama Vespa, ma neanche Floris. Temono un Pannella disoscurato, che si rivolga direttamente alla loro gente, ai credenti, ai comunisti. Li capisco: siamo un pericolo per il disordine costituito».
Prodi ha già dato prova, sulla fecondazione assistita e ora sui Pacs, di saper disobbedire al Vaticano. Chi è Prodi per lei? Un dossettiano o un cattolico liberale? Lo riconosce come leader?
«Prodi non è né dossettiano né cattolico liberale; è un democristiano storico. Prendo atto che il centrosinistra lo ha per leader. Nessun problema. Anche Ernesto Rossi e Pannunzio furono degaspenani: il governo Parri fu messo in crisi non dalla destra ma dalla sinistra liberale; e De Gasperi fu sempre leale con i partiti laici».
Ruini si è espresso contro i Pacs.
«Capisco anche lui. Cardinali e vescovi avvertono un gran bisogno della famiglia. La bramano da secoli. Criminalizzano la pedofilia, ma nelle loro fila c’è una produzione industriale di pedofili. Mi batto perché anche i vescovi possano essere eletti in Parlamento, e possano esercitare il loro diritto alla famiglia e all’ amore».
Anche Rutelli è contro i Pacs.
«Faccio mia la posizione di Chiara Saraceno».
La Saraceno dice che quella di Rutelli è furbizia o malafede. Però neppure lei, Pannella, per quanto favorevole ai Pacs, ha mai dato battaglia per il matrimonio tra omosessuali.
«Li capisco. Millenni di persecuzioni e di dolore giustificano una rivincita. Sentimenti e risentimenti sono una ricchezza. Se queste nozze si devono fare, si facciano. Ma ho il presentimento che fra trent’anni potrò dire: “Che ve siete sposati a fa’? Che froci siete?”. Comprendo l’esigenza di costruire una nuova legalità , ma non in un’istituzione in crisi come il matrimonio, legata a una fase antropologica segnata dalle esigenze eticoriproduttive. Quando vedo il trionfo di Westerwelle in Germania e di Delanoe a Parigi, vorrei dire ai gay che nel cuore della gente hanno già vinto».
In compenso sarà battaglia con Bertinotti e la sinistra che si fa chiamare “radicale”?
«Si. Uno scontro tra sinistra liberale e sinistra neocomunista è necessario e salutare. Leggo che Ferrara attacca i Disobbedienti ma assolve Bertinotti. E’ un errore. Sono amico di Bertinotti, e sono alla sua sinistra; ad esempio noi vogliamo abolire la trattenuta fiscale alla fonte per i lavoratori dipendenti, loro no. Si dicono anche loro radicali, europeisti, non violenti. In realtà non sono soltanto antiamericani, statalisti, classisti; sono razzisti, quando difendono l’agricoltura iperprotetta europea a discapito di quella del Terzo Mondo; cui negano la democrazia, preferendo sostenere i dittatori».
Prodi riuscirà a tenere insieme liberali e neocomunisti? O dovrà scegliere?
«La politica è mediazione. La politica di Prodi e quella di Bertinotti sembrano le stesse della Confindustria: protezionismo e cassa integrazione, a spese di cittadini e disoccupati. Eppure ne sono convinto, e voglio dirlo agli italiani: stavolta ce la possiamo ancora fare. Aspetto anche tutti i socialisti e i liberali che ancora pensano di poter condurre una battaglia di libertà nel centrodestra. Uomini, e soprattutto donne».
Qualcuna in particolare?
«Boniver e Prestigiacomo, che furono con noi nel referendum. E in un’altra prospettiva anche Fini. Devo rendere omaggio alla sua sensibilità laica».
Il vostro simbolo?
«Nell’81 andai con Giacomo Mancini all’ultimo comizio di Mitterrand, prima della sua grande vittoria. Ci dicemmo: chi si prende il simbolo della rosa nel pugno? Mancini si schermì, disse che avrebbe evocato l’accordo che Mitterrand aveva stretto con i comunisti. Allora la rosa fu colta da noi radicali. La pagammo. E’ nostra. La mettiamo a disposizione».