«Muoveremo l’esercito!». Il ministro Alfonso Pecoraro Scanio sorrideva felice con i collaboratori, l’altra sera, alla fine di Porta a Porta: «Allora, come sono andato? ». «Inguardabile» scrive sul suo blog Peppino Caldarola, ex direttore dell’Unità; «al confronto, Bobo Maroni pareva Churchill». Per un giorno, l’opposizione si ricompatta. L’Udc parla di «deprimente performance»; Forza Italia di «eroe della sceneggiata napoletana », «figura pietosa», «recita indecorosa ». Cicchitto lo sopravvaluta: «Pecoraro è un pericolo per l’Italia». Casini lo sfida «a un confronto pubblico, preferibilmente a Napoli». Lo criticano Di Pietro e Europa, il giornale della Margherita. Caldarola, implacabile: «Non riesce a prendere sul serio neppure le tragedie. E’ ilare. Come quelli che si danno di gomito e ridono ai funerali». In effetti, Pecoraro fu fotografato sorridente in chiesa, nel maggio 2006, al funerale di tre caduti a Nassiriya. Una specie di maledizione. Mentre, la notte del 23 settembre scorso, a New York Prodi e D’Alema concordavano il blitz per liberare gli agenti segreti in mano ai talebani, nello stesso grattacielo lui veniva beccato dall’inviato del Corriere Maurizio Caprara «in uscita dal 27˚ piano dell’hotel Millenium, dove c’è una cinematografica piscina sospesa tra le luci della Grande Mela».
Anche in occasione dell’emergenza rifiuti, il ministro dell’Ambiente è stato sfortunato. Un capro espiatorio. «Iniziamo a smaltire questi due» titola Il Giornale sopra la foto di Bassolino in giacca e cravatta e di Pecoraro descamisado. Ma, se il governatore ha forse responsabilità più gravi, la sua caduta ha un’aura di grandezza, viene ricondotta al filone delle tragedie napoletane, è raccontata come un Rinascimento tradito; Pecoraro viene liquidato, certo ingiustamente, come un epigono minore di Mario Merola. Un poco è anche colpa sua. L’uomo che ora vuol muovere l’esercito, sino a poco fa capeggiava o difendeva le truppe avverse. «Insieme ci siamo battuti come leoni» si inteneriva Tommaso Sodano, battagliero parlamentare di Rifondazione. No agli inceneritori. No al decreto del governo per istituire quattro nuove discariche. No in particolare alla discarica di Serre («ma era vicina a un’oasi del Wwf! E poi ho trovato un’alternativa, a Macchia Soprana! » si difende Pecoraro). No alle cariche per liberare i blocchi stradali (era il maggio 2007: «Amato sbaglia, si torni al dialogo»). E poi: no al vertice Nato a Napoli. No al fumo nei parchi napoletani, se nel raggio visuale del fumatore compaiono bambini o donne incinte (non sarà eccessivo in una città avvelenata dall’immondizia? «Macché; il divieto coniuga ambiente e tutela della salute »). Ancora: no agli ogm. No all’intervento italiano in Afghanistan nel 2001. No ovviamente al ponte sullo Stretto e al tunnel della Valsusa. Ma no pure alla pesca del tonno rosso e all’albero di Natale («basta tagliare abeti; meglio quelli sintetici, oppure il presepe. Napoletano»). «Bello, moro e dice sempre no» titolò La Stampa. Eppure di sì ne ha detti molti. Sì alla nomina a «patrono del pesce azzurro» del neomelodico Gigi D’Alessio, e a subcomissario per i rifiuti di Claudio De Biasio, prontamente arrestato («veramente mi ero limitato a inserirlo in una rosa di nomi…»). In Parlamento si è battuto per la creazione del museo del mandolino, di una lotteria da abbinare al festival di Sorrento, di una cattedra di agraria a Cassino.