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«Per mille anni i sacerdoti si sposarono Poi Gregorio Magno cambiò le regole»

Il celibato dei preti? Risale solo alla secon­da metà del XI secolo, prima i sacerdoti si sposavano». Il professor Franco Cardini, uno dei massimi esperti di Storia medioevale, spiega co­sì la nascita del divieto per i preti cattolici di rito latino, e cioè per i preti cattolici d’Occidente, di avere moglie.

 

 

Questo vuol dire che per mille anni non c’era questo divieto? «Sì — risponde Car­dini —, il celibato è stata una misura sociale, storica, civile e politica che risale in sostan­za alla riforma gregoriana, dal nome di Papa Gregorio VII, Gregorio Magno. Anche se c’erano state prese di posi­zione al riguardo del suo pre­decessore Alessandro II. La decisione fu presa sostanzial­mente per evitare che l’alto clero finisse per fare gli inte­ressi delle grandi famiglie aristocratiche del tempo, mettendo in secondo ordine quel­li della Chiesa. Posso ancora ricordare che la decisione di imporre il celibato non avven­ne senza forti resistenze da parte dei “tradizionalisti” del­l’epoca». Cardini ricorda che «la scelta venne poi ribadita e formalizzata ufficialmente più tardi, durante il Concilio di Trento (1545)». «Fu una risposta — continua Cardini — alle tesi di Lutero e delle Chiese riformate, che aveva­no abolito il celibato nell’am­bito della loro rivendicazione di un clero che non fosse se­parato dal popolo. Dal punto di vista storico posso dire che se oggi ci sarà un ripensa­mento da parte della Chiesa sulla questione del celibato, questo sicuramente aiuterà nel riavvicinamento con alcu­ne Chiese riformate, penso in­nanzitutto a quella anglica­na e a quella luterana». «La questione è complicata dal fatto — conclude Cardini — che spesso si confonde il di­vieto di sposarsi con il voto di castità. È bene ricordare che solo i monaci, i francesca­ni, i domenicani e alcune congregazioni come i gesuiti fan­no il voto di castità. I preti del clero secolare essendo ce­libi, se hanno rapporti sessua­li, commettono un peccato contro il sesto comandamen­to, così come tutti i laici non sposati».

 

 

Una tesi condivisa dal pro­fessor Mauro Pesce, ordina­rio di Storia del cristianesi­mo all’università di Bologna e autore insieme al giornali­sta Corrado Augias del best seller «Inchiesta su Gesù».

 

Che si tratti di una norma di­sciplinare «è dimostrato — secondo Pesce — anche dal fatto che a tutt’oggi è per­messo dalla Chiesa ai preti cattolici di rito orientale di avere famiglia, così come fanno i preti ortodossi, in quan­to vengono ordinati sacerdo­ti degli uomini sposati, an­che se è vero che se rimango­no vedovi non si possono più risposare e comunque non possono diventare vescovi». A riprova di questo, Pesce ci­ta «San Paolo e la sua Lette­ra a Timoteo, che al capitolo terzo, versetti dal 3 al 7, parla dei vescovi che debbono sa­per amministrare la propria casa e tenere sottomessi i figli, così come non devono amare il denaro e non bere molto. Del resto l’apostolo Pietro era sposato».

 

 

Per Pietro Scoppola, do­cente emerito di Storia con­temporanea alla Sapienza di Roma, «il celibato ecclesiasti­co è solo una norma di diritto canonico, una scelta della tra­dizione, non fondata teologicamente. Mi sembra impor­tante che oggi davanti alla crisi delle vocazioni si possa pensare a scelte diverse aper­te alle nuove esigenze».