Francesca Capone è una biologa di 35 anni. La sua è una carriera prestigiosa: una laurea a 23 anni, un Dottorato di Ricerca in Italia , due anni e mezzo di specializzazione post-dottorato a Parigi e un buon numero di pubblicazioni scientifiche su riviste internazionali. Ma neanche un curriculum d’eccellenza sembra garantire un posto fisso nell’Italia del terzo millennio. Recentemente le è stato assegnato un posto da Collaboratore Tecnico della durata di un anno presso l’Istituto Superiore di Sanità.
Con coraggio e una certa amarezza racconta ciò che le è accaduto.
R@: Dott.ssa, come inizia la sua storia?
FC: Il 31 dicembre, verso le 14.00, io e il mio compagno ci siamo recati presso il Pronto Soccorso Ginecologico del Policlinico Umberto I° di Roma per chiedere la prescrizione della “pillola del giorno dopo”. Il mio partner aveva dimenticato che fossi in “pausa pillola anticoncezionale” e, dato il periodo del ciclo in cui mi trovavo, una dimenticanza di questo tipo avrebbe potuto dare origine ad una gravidanza non affrontabile, a parere di entrambi, nelle situazioni di precarietà lavorativa in cui ci troviamo.
R@: È a questo punto che comincia la sua Odissea in giro per alcuni ospedali romani?
FC: Sì, la prima tappa è stato il Policlinico Umberto I. Dopo un po’di fila sono stata ricevuta in una stanza da un uomo (medico?infermiere?) che mi ha dato subito confidenzialmente del tu. Dopo avermi chiesto il motivo per cui mi fossi recata al Pronto Soccorso, mi ha fatto presente che né il medico del turno in corso né il medico del turno successivo mi avrebbero prescritto la pillola. Mi ha detto che entrambi erano obiettori e mi ha consigliato di tornare il giorno successivo o di provare in altri ospedali romani come il San Giovanni e il San Camillo. Inoltre, il mio interlocutore ha aggiunto che nel mio specifico caso quel farmaco non avrebbe potuto fare effetto. Per lui era inutile ricorrere alla “pillola del giorno dopo” nel periodo del ciclo (fase preovulatoria/ovulatoria) in cui mi trovavo. R@: Le è stato riferito, quindi, qualcosa che non risponde a verità?
FC: Certamente, “la pillola del giorno dopo” ha lo scopo di bloccare l’ovulazione impedendo l’impianto dell’ovulo eventualmente fecondato se il rapporto sessuale è avvenuto nelle ore o nei giorni che precedono l’ovulazione, cioè nel periodo di massima probabilità di fecondazione. Questo farmaco non è più efficace una volta iniziato l’impianto. Inoltre è di massima importanza assumere la pillola al più presto, possibilmente entro le prime 12 ore dal rapporto sessuale. Più tempo passa prima dell’assunzione, più cresce il rischio di rimanere incinta.
L’uomo mi ha anche gentilmente detto che l’unica mia possibile speranza era un’ipotetica sterilità del mio compagno. “Che Dio te la mandi buona” è stato il suo saluto, unito al consiglio di non andare in ospedali cattolici e all’Ospedale Pertini. Si è, però, premurato di dirmi che mi sarei potuta recare al S. Giovanni o al S. Camillo. “Lì si praticano gli aborti” ha aggiunto abbassando la voce.
R@: Crede che alla base delle parole del suo interlocutore ci sia stata solo ignoranza di fondo o il tentativo di dissuaderla dall’assunzione di questo farmaco, esponendola per altro al rischio di una gravidanza indesiderata?
FC: Non credo che sia stato un dolo. Penso che quel signore abbia aggiunto a titolo personale quelle scorrette informazioni. Probabilmente, però, una ragazza poco informata circa il funzionamento di un anticoncezionale di emergenza avrebbe potuto fidarsi delle sue erronee indicazioni. Ciò che scandalizza maggiormente è, comunque, che in un ospedale pubblico non venga subito prescritto un farmaco che nei prontuari medici risulta essere un contraccettivo di emergenza e non un abortivo. Proprio perché si tratta di un farmaco di emergenza, la “pillola del giorno dopo” deve essere assunta il prima possibile. Ogni 12 ore che passano aumenta,infatti, il rischio e la probabilità di gravidanza.
R@: A suo avviso ciò che le è accaduto è un caso isolato o la spia di un problema più grave, di una situazione generalizzata?
FC: Sono casi che succedono con molta frequenza. Ho parlato con molte persone che hanno storie simili alla mia. È una situazione non definita. Bisogna chiarire se sia riconosciuto o meno ai medici di poter avvalersi della possibilità di non prescrivere tale farmaco, trincerandosi dietro l’obiezione di coscienza. Ripeto, si tratta di un contraccettivo di emergenza e non di un abortivo. L’obiezione vale soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge e cioè per la pratica dell’aborto.
R@: La seconda tappa del viaggio è all’Ospedale San Giovanni. E le cose non sono andate meglio. Anche lì poca professionalità?
FC: Sono stati molto scostanti. Pretendevano che facessi la mia richiesta in un corridoio dove c’erano una partoriente e due uomini. Almeno al Policlinico mi avevano fatto entrare in una stanzetta. Un’infermiera, la quale evidentemente sapeva che il medico di turno si rifiutava di prescrivere la pillola, ha urlato con molta irritazione:”Qui non la prescriviamo, vai al consultorio lunedì mattina”. Le ricordo che la mia richiesta veniva effettuata sabato verso le 15.00.
R@: Da cosa nasce, secondo lei, tanta irritazione per una legittima richiesta come la sua? Pensa che alla base di comportamenti come questi ci sia la forte pressione della componente cattolica del nostro Paese per ostacolare l’uso di questa pillola?
FC: Credo che le persone con cui ho parlato fossero semplicemente dei portavoce. Ma la pressione della componente cattolica si fa sentire. Ci illudiamo che il nostro sia uno Stato laico, ma non lo è per niente. Basta pensare all’ultimo referendum e ai parroci che nelle chiese invitavano i fedeli ad astenersi dal voto.
R@: Il ministro della sanità Francesco Storace ha dichiarato poco tempo fa di voler modificare il decreto per l’acquisto dall’estero di alcuni farmaci, tra cui la RU486. Come giudica un comportamento di questo tipo? Qualcuno ha parlato di minaccia contro la libertà della ricerca e della sperimentazione scientifica?
FC: La RU486 è una pillola abortiva utilizzata da 20 anni. Non c’è niente da sperimentare. C’è solo da ringraziare altri paesi più civili che l’hanno introdotta molti anni fa come abortivo dopo una lunga sperimentazione. La cosiddetta “pillola del giorno dopo” impedisce l’impianto dell’ovulo eventualmente fecondato. La RU486, invece, è un’altro tipo di pillola, è classificata come farmaco abortivo e permette di evitare l’intervento chirurgico. È un metodo che permette l’aborto in maniera più pratica, meno costosa e soprattutto meno invasiva per la donna.
R@: Allora perché Storace ostacola l’uso anche in Italia della RU486?
FC: Non credo che Storace sappia cosa significhi abortire, non sa che si tratta di una cosa molto dura per una donna, qualunque siano i motivi che la spingano a compiere questo gesto. E non è certo subire un intervento che faccia sentire la donna meno sola in una situazione del genere. Coloro che si oppongono all’uso della RU486 accusano: “Così abortire diventa troppo facile”. L’idea di fondo è che la donna debba soffrire, entrare in sala operatoria, subire un intervento chirurgico e sentire il peso delle sue colpe.
R@: Alla fine è riuscita a farsi prescrivere la “pillola del giorno dopo”?
FC: Uscita dal San Giovanni, ho deciso di andare sino in fondo. Non prevaleva la rassegnazione, volevo trovare un posto in cui valessero i miei diritti di cittadina. Così sono andat
a al San Camillo. Lì, dentro una stanza con la porta chiusa, in condizioni “normali”, ho potuto parlare ad un medico competente e pratico. Compilato il modulo per la richiesta, mi è stata prescritta la pillola. Sono bastati pochi minuti.
R@: L’associazione Radicali Romani ha deciso di occuparsi di quello che le è accaduto e di sostenerla nel denunciare i medici del Policlinico Umberto I e del San Giovanni. Lei è d’accordo?
FC: Sì, e le confesso che mi sarei aspettata un sostegno maggiore anche a sinistra dove si sbandiera sostegno ai diritti delle donne. Vorrei puntualizzare, tuttavia, che non c’è nessun intento accusatorio nei confronti della classe medica in generale. Io voglio solo che sia riconosciuto il diritto ad ottenere una prescrizione che non ho avuto e che avrei dovuto ricevere alla prima richiesta. A mio avviso, anche se mi fossi recata presso un ospedale cattolico sovvenzionato con fondi statali. Il personale medico-sanitario non può rifiutarsi di prescrivere un farmaco d’emergenza legalmente in commercio. Così si costringe una donna a ricorrere all’aborto chirurgico quando la sua volontà è proprio quella di evitarlo.