RADICALI ROMA

Poltrone e torroncini Le «armi» di lady Sandra

  «Nella buona e nella cattiva sorte»: non poteva che andare così, la love story di Clemente & Alessandrina, sancita quando lui diede a lei il primo bacio sulla spiaggia newyorkese di Oyster Bay, Long Island. Insieme al catechismo, insieme nella gioventù cattolica, insieme all’altare, insieme nella scalata al potere, insieme nei guai giudiziari. Roba da fotoromanzi d’altri tempi. Quelli in cui lui dice a lei: «Salvati! Sono perduto!» E lei: «Mai! Piuttosto morta!» Certo, non è la loro l’unica coppia della politica italiana. Basti ricordare Palmiro Togliatti e Nilde Jotti (contro i quali i parroci affiggevano perfidi manifestini: «Non solo Togliatti ci ha l’amante / ma la ricopre di pellicce e brillanti») oppure sul fronte opposto Raffaele Jervolino e Maria de Unterrichter, ministro lui e sottosegretario lei. O ancora, in tempi recenti, Piero Fassino e Anna Serafini. Clemente e Alessandrina («Così mi chiamo: il segretario comunale era fissato coi diminutivi e registrava tutte le neonate così: Franceschina, Carmelina, Assuntina…») hanno però qualcosa di speciale. Lui ammise un giorno: «Io non sono Clinton e Sandra non è Hillary». Per anni, però, dopo averla svezzata portandosela dietro ai congressi democristiani («Stavo seduta in prima fila per un’intera settimana») ha cercato d’imporla nel «suo» mondo. Prima piazzandola su poltrone come quella di commissario straordinario della Croce rossa regionale o di amministratore dell’Azienda di soggiorno di Capri. Poi tentando di farla eleggere alla Camera, quindi ipotizzando lanciarla come sindaco di Benevento («La gente mi vorrebbe ma al Nord non capirebbero») e infine sistemandola non solo come consigliere ma addirittura alla guida dell’assemblea regionale. Familismo? Fece spallucce: «La verità è che senza Sandra il Consiglio sarebbe rimasto imballato. Ringraziassero il cielo con la faccia per terra».

 

 

 

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Lei ricambiò compiendo a Ceppaloni il primo viaggio ufficiale da presidentessa, accolta dal marito ministro e sindaco del paesello sannita con la fascia tricolore: «Signor sindaco…», «Signora presidente…». Non bastasse, non ha perso occasione in questi anni di dipingere il consorte con toni agiografici non si sa quanto venati di ironia: «È il più grande statista del mondo». Ne parla, ha scritto Aldo Cazzullo, come se parlasse di Adenauer. E giura che non è amore: «Lo stimo». Quando hanno letto il provvedimento giudiziario firmato dal giudice per le indagini preliminari Francesco Chiaromonte, quelli che conoscono un po’ Clemente & Alessandrina, il loro entourage familiare, la loro rete di rapporti politici hanno sorriso. Perché, se in Internet c’è chi esulta, a partire da www.mastellatiodio.com e dal blog di Beppe Grillo che mette in primo piano un video mastelliano con la canzone «Vaffanculo» di Marco Masini, è fuori discussione che almeno una parte delle accuse contestate appaiono a prima vista sconcertanti anche al più incallito degli anti-mastelliani. Una multa stracciata? Un’interrogazione parlamentare presentata per dare fastidio al direttore generale dell’ospedale Caserta Luigi Annunziata? Una pressione su Bassolino perché «desse loro una utilità consistita nell’assicurare loro la nomina a commissario dell’Area Sviluppo Industriale di Benevento di una persona designata dal Mastella»? Per carità, può darsi che i magistrati abbiano in mano prove schiaccianti di reati non ancora rivelate. Come può darsi che la scelta di cedere subito l’inchiesta a Napoli riconoscendo la propria incompetenza ma solo «dopo» avere spiccato gli ordini di cattura e avere terremotato la politica italiana sia formalmente corretta. Si vedrà. Una eventuale forzatura, però, sarebbe devastante. Perché ciò che i critici rimproverano a Clemente e Alessandrina, fermo restando l’obbligo di colpire i reati, ha a che fare più con la sanzione morale che con i provvedimenti giudiziari. Mai negato, Clemente, il suo modo di fare politica. Lo scrisse anche in un vecchio diario spiegando come occupa i momenti liberi: «Ne approfitto per sbrigare qualche pratica clientelare: pensioni, richieste di trasferimento, assunzioni, sussidi vari, orfani e invalidi civili». E ammiccava: «Mi raccomandano i figli che devono fare gli esami di maturità. Rispondo di sì a tutti, in realtà non mi impegno». Cos’è poi una raccomandazione? «Un peccato veniale. Per molto tempo servita a riequilibrare le ingiustizie nord-sud». Per lui la politica è questo: «Non può essere testimonianza od oltranza». Se lo sfidano risponde: «Sono Mastellik, sulle poltrone non mi fregano». Vogliamo dirlo? Nella sfrontatezza con cui parla di potere, sindaci, ministeri o sottosegretariati, c’è un candore che fa di lui un politico meno ipocrita e più trasparente di tanti altri. La moglie, che Dagospia incoronò come «femmina d’irreparabile bellezza », è uguale. Parola di Clemente: «È Sandra che tiene per me i contatti con la gente comune. Da lei capisco quello che pensa. Partecipa a comunioni e matrimoni. Cinquanta regali solo in giugno. Ci vorrebbe un’indennità supplementare per i deputati del Sud». Lei manda torroncini natalizi a centinaia di persone e lei si batte per la Falanghina e il caciocavallo di Castelfranco in Miscano e le provole affumicate del Matese e lei porta il marito al Columbus Day per incontrare gli emigrati di New York che possono tornare comodo e ancora lei organizza spettacolari serate a casa con decine di invitati («A mio marito per i 25 anni di matrimonio non ho chiesto l’anello col brillante ma una cucina da ristorante ») ed elettori e amici e clienti. Perché, certo, anche ieri ha ripetuto che lei e Clemente fanno politica in difesa «dei valori cattolici». Ma come li difendi, questi valori, senza un po’ di primari, di assessori, di consiglieri comunali, di caporedattori o direttori nelle Asl?