Nel paese del melodramma e della sceneggiata, il presidente Cossiga appare un personaggio dai tratti shakespeariani.
Così quando parla di Moro, così quando parla di Giorgiana Masi. La sua figura, precocemente imbiancata, inginocchiata sulla tomba dell’amico e maestro che non ha potuto salvare, è l’immagine di un dramma umano vero e serio. Né serie, nè vere sono le sue dichiarazioni di ieri ancora a proposito del 12 maggio 77 e dell’assassinio di GiorgianaMasi. «Il rimorso che attanaglia i radicali» e che «Sconvolge ogni anno la mente di Pannella» è un transfert davvero troppo rozzo per una persona di intelligenza così tormentata. La serietà ne risente. E la verità è assente nelle argomentazioni. Quella manifestazione, che consisteva in un comizio e in un concerto, non in un corteo, i radicali che l’avevano convocata potevano ben controllarla, senza bisogno di “servizi d’ordine” ma con la forza della politica. Nessun terrorista, nessuna “autonomia sociale” si interessava all’ epoca di firme e di referendum. I giovani del “movimento” che vollero partecipare ed essere vicini ai radicali, sapevano quel giorno di essere ospiti e per quel giorno nessuno aveva progetti violenti. Tranne il Ministero dell’interno. Nessun autonomo quel giorno tirò fuori la pistola, e tanto questo era noto che qualcuno provvide a supplire a quella mancanza. Ora il presidente parla di “fuoco amico”.
Ma le uniche foto di armati in borghese ritrassero poliziotti. Ora il presidente ci dice che i periti assicurarono che quelle armi non spararono. Se è così, quei periti mentono per la gola, avrebbe scritto Shakespeare. C’è un filmato che mostra la fiammata dalla canna di una di quelle pistole. Se non i periti, almeno il presidente dovrebbe averlo visto.
Chi era in piazza quel giorno, i radicali, i compagni di Giorgiana, non hanno rimorsi, piuttosto chiedono giustizia e verità. I radicali l’hanno fatto da subito, all’epoca, con la proposta di una commissione parlamentare che poco la sinistra sostenne, e si intuisce perché leggendo nelle dichiarazioni del presidente l’obliquo elogio alla fermezza della sinistra dell’epoca. Certo è che se qualcuno, giudice o parlamentare, decidesse di rimettere mano agli atti di una inchiesta mai conclusa, scoprirebbe che sulla teoria del “fuoco amico” il presidente viene a trovarsi in compagnia di un “pentito” che, per sentito dire, raccontò ai magistrati qualcosa di simile. Il presidente può interpellarlo, si chiama Angelo Izzo. E’ di nuovo detenuto.