CITTA’ DEL VATICANO – Sono stati il celibato dei sacerdoti e il problema della comunione per i divorziati risposati a tenere banco al sinodo dei vescovi in corso in Vaticano. La discussione, a quanto si è appreso, è stata vivace e non sono mancate le contrapposizioni anche nette tra i partecipanti.
L’allarme per l’espansione delle sette e la preoccupazione per i divorziati risposati che la legge della Chiesa tiene lontani dall’eucaristia si sono correlati durante il sinodo dei vescovi in corso in Vaticano. A sollevare per primo il problema è stato il vescovo centroafricano Francois Xavier Yombandje, denunciando con chiarezza il rischio che i divorziati risposati, emarginati dall’eucaristia, diventino “adepti” delle sette. Lo stesso problema è stato ventilato dal cardinale Julian Herranz, mentre il cardinale indiano Ivan Dias ha proposto di rivalutare l’adorazione, che è accessibile anche a quanti non sono ammessi alla comunione sacramentale.
Di particolare peso l’intervento di Herranz, che nella veste di presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi rappresenta il massimo giurista della chiesa cattolica. Herranz ha preso la parola al sinodo per contestare l’affermazione, contenuta nella relazione del cardinale Angelo Scola, che “l’eucaristia non è un diritto”. Affermazione dalla quale discendono i tre “no” ribaditi dal patriarca di Venezia all’ammissione alla comunione dei divorziati risposati, all’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati e all’intercomunione.
Replicando a queste posizioni, il presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi ha parlato in particolare della comunione come “diritto fondamentale, ma non assoluto” perché “alcuni requisiti personali limitano tale diritto”. Tra la “gran diversità di situazioni irregolari (…) tutti, però – ha affermato – sono da seguirsi con amorevole pazienza e sollecitudine pastorale, per cercare di renderli regolari e per evitare che nessun fedele si allontani dalla Chiesa, o si consideri persino scomunicato”. Dal canto suo Dias, arcivescovo di Bombay, ha ricordato che “l’adorazione del santissimo sacramento è accessibile a tutti, persino ai cattolici che per qualsiasi motivo non possono ricevere Gesù nella santa comunione, e a persone di altre fedi”.
Il tema del celibato dei sacerdoti è stato sollevato invece nel corso degli “interventi liberi” di lunedì sera. In questo caso non è possibile conoscere i protagonisti del confronto in quanto i nomi dei vescovi che hanno preso la parola è coperto da segreto. In uno degli interventi è stato sottolineato in particolare: “Ho ascoltato un’affermazione triste: noi non abbiamo sacerdoti perché esigiamo il celibato. Non è vero, la mancanza di sacerdoti è sintomo di una crisi di fede”.
Secondo il vescovo, “gli uomini sposati non risolverebbero questo problema, ne avremmo invece di nuovi: che fare – si è domandato – quando un prete abbandonerà la famiglia o chiederà il divorzio?”.
A questa chiusura si sono opposti però tutti i patriarchi orientali presenti al sinodo, che negano l’esistenza di un “fondamento teologico” di questa norma canonica. Un patriarca, ad esempio, ha spiegato ai giornalisti che nella sua diocesi convivono i due riti e che quindi nello stesso palazzo potrebbero vivere due ragazzi ugualmente chiamati al sacerdozio, appartenenti però uno al rito latino e l’altro a quello greco-cattolico. “Entrati in seminario – ha scherzato – entrambi si innamorano di brave ragazze, ma poi uno solo di loro potrà ricevere i complimenti e l’incoraggiamento dal suo vescovo. Per l’altro solo mazzate”.