RADICALI ROMA

Prodi, Verdi…Ruini in politica: vergate e "divide et impera"

IL PESCE IN BARILE DOPO LE VERGATE

Prodi: “cattolico adulto anche chi si astiene”

Risposta a Famiglia Cristiana (17 marzo 2005)

“Non ho mai inteso dire e non ho mai detto che solo coloro che si recheranno a votare al prossimo referendum sulla legge 40 debbano essere considerati ‘cristiani adultì. Lo è altrettanto chi, consapevolmente, deliberatamente non vi si recherà e si asterrà. Costui naturalmente andrà in qualche modo distinto da chi (solitamente oltre il 30%) praticherà, secondo il diritto, una scelta di indifferenza”.

Lo scrive Romano Prodi in una lettera al direttore di Famiglia Cristiana, Antonio Sciortino, dopo le polemiche dei giorni scorsi sulla questione del non voto al referendum sulla legge 40.

“Egregio direttore – scrive Prodi – la ringrazio anzitutto dell’ospitalità che mi offre – divenuta così rara oggi, anche in casa nostra – per chiarire il mio pensiero in ordine ai pesanti fraintendimenti e alle gravi strumentalizzazioni di cui le mie parole sono state e sono fatte oggetto da diversi giorni”.

Il leader dell’Unione sottolinea di “condividere l’impostazione e l’argomentazione” dell’editoriale a firma di Beppe Del Colle del numero del 12 marzo: “È cattolico adulto anche chi si asterra”.

“Non ho mai inteso dire – sottolinea il Professore – e non ho mai detto che solo coloro che si recheranno a votare al prossimo referendum sulla legge 40 debbano essere considerati “cristiani adulti”. Lo è altrettanto chi, consapevolmente, deliberatamente non vi si recherà e si asterrà. Costui naturalmente andrà in qualche modo distinto da chi (solitamente oltre il 30%) praticherà, secondo il diritto, una scelta di indifferenza.

Cristiano adulto è colui che liberamente, consapevolmente, in base a retta coscienza, in una situazione data, sceglie ciò che ritiene doveroso e conforme al giusto. Di quella scelta fatta secondo coscienza egli porta intera la responsabilità. Secondo coscienza. Quella coscienza che è il nucleo più segreto e sacro dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio. Quella coscienza che non può essere affidata ad alcuno, neppure al migliore degli uomini viventi”.

“Nella mia vita personale, familiare e pubblica – aggiunge Prodi – ho cercato di seguire, in ogni ambito e come ho potuto, l’insegnamento morale della Chiesa. Ho dunque inteso parlare per me. E per chi altri, se no! Dal momento che noi, l’Ulivo, su questi temi e su tutti i temi che attengono alla morale personale e implicano scelte così dirimenti e impegnative, riteniamo che non vi possa essere disciplina di partito o di schieramento. Questo ho detto più volte, ma questo non è stato ripreso. Si riprende ciò che serve, in una informazione che rischia di diventare serva”.

“Così – prosegue la lettera – come non è stata ripresa in seguito la mia amarezza per il referendum, sul quale più volte, fin dal settembre scorso, espressi la mia perplessità”. “Temevo allora – si rammarica – e oggi ne ho conferma, che si sarebbe finito col dividere il Paese, con divisioni ideologiche e religiose. Del resto già nell’iter parlamentare, la discussione sulla legge 40 era stata segnata da un contrasto di parte che la rese divisiva riducendola in un ottica partitica, scoraggiando il confronto e l’incontro tra coscienze”.

“Io credo – dice Prodi – che nella responsabilità pubblica, nella vita politica vi siano modi diversi per testimoniare i valori cristiani e non uno e un solo modo. Non vi è mai – ricordava Sturzo – una sola strada per difendere la libertà e la dignità umana. Le mie parole volutamente deformate, tenute per giorni – nonostante le mie personali proteste – in alcuni siti dell’informazione, anche cattolici, rischiano oggi di trasformarsi in un motivo di divisione, nella Chiesa e nella vita pubblica”.

“È questa una responsabilità morale – sottolinea – che non intendo portare. Per non essere, involontariamente e indirettamente, strumento di divisione, nella Chiesa e nel Paese; per non accreditare l’opinione, nociva alla missione della Chiesa e conseguentemente al Paese, che la Chiesa stessa si sia schierata o lasciata schierare a fianco di uno schieramento politico contro l’altro, così come di fatto l’anticipato dibattito referendario, in circostanze squisitamente politiche quali sono le imminenti elezioni regionali, lascia intendere. Per questa ragione io non posso e non intendo più intervenire, nè lo farò in seguito, sui temi del referendum”.

“A questo – conclude – hanno portato i metodi che si sono usati. Come privato della mia libertà pubblica, ferito nella mia fede di cristiano, con animo triste, le auguro buona Pasqua”.

Il principio di precauzione (17 marzo 2005)

Il tradimento dei nuovi Verdi

di Andrea A. Galli
da www.impegnoreferendum.it www.avvenire.it

«I riconoscimento del limite non si esaurisce soltanto nell’affermazione: “non consumiamo tutto oggi, perché altrimenti domani non ne avremo più”, ma si realizza anche nel principio “forse è meglio non fare certe cose oggi poiché non ne conosciamo le conseguenze del domani”». Giusto. «Oggi, infatti, molte scelte che si compiono nel campo della manipolazione genetica e della clonazione […] ci sembrano un automatico vantaggio del progresso. Ma non ci soffermiamo mai a pensare alle conseguenze che certe azioni hanno, alcune delle quali non riusciamo nemmeno a prevedere». Già. «Lo stesso padre della pecora Dolly, prima pecora clonata, getta oggi l’allarme sull’imperfezione della sua creatura che, addirittura, soffre di senilità precoce a causa di un gene derivato da una pecora più anziana dalla quale è stato clonata. Vogliamo che questo succeda anche all’uomo?». Francamente no. Almeno noi. Chi ha scritto il passo qui riportato forse qualche ripensamento lo ha avuto. Alfonso Pecoraro Scanio, autore insieme a Grazia Francescato del libro «Il principio di precauzione» (Jaca Book, 2002), da cui abbiamo preso la citazione, non pare primeggiare negli ultimi tempi per spirito di precauzione. Così come i dirigenti più esposti dei Verdi, tra i principali supporter del referendum che mira a scardinare l’impianto della legge 40, compreso l’articolo 13 che impedisce il sacrificio di embrioni umani a fini di ricerca.

Eppure ci si aspetterebbe ben altro atteggiamento da chi ha fatto del principio di precauzione, del rispetto integrale della natura, anche quella umana, un leitmotiv di numerose battaglie. Come difatti è avvenuto altrove nel mondo. In Corea del Sud, per esempio, dove a protestare contro gli esperimenti di clonazione umana, nel 1998, è stato proprio un gruppo ambientalista, Green Korea, che senza molta diplomazia ha evocato il ritorno di «atrocità naziste». In Gran Bretagna uno degli appelli più forti rivolti alla Human Fertilisation and Embryology Authority affinché impedisse pratiche di clonazione umana non è venuto da gruppi cristiani pro-life ma da un pensatoio ambientalista, lo Human Genetics Alert. Negli Stati Uniti a lanciare una campagna contro ogni tipo di clonazione umana e di sperimentazione sulle cellule staminali embrionali è stato, nel 2002, nientemeno che Friends of the Earth Usa, punta di diamante di Friends of the Earth International, ossia il più grande network ambientalista del mondo.

In Svizzera a schierarsi ufficialmente contro la ricerca sulle staminali embrionali, in occasione del referendum dello scorso novembre, è stato proprio il partito dei Verdi. In Germania una parte consistente sempre del partito dei Verdi ha dato filo da torcere negli ultimi anni al proprio leader Joshka Fischer, accusato di non volersi battere a sufficienza per la tutela dell’embrione umano.
Anche in Italia, a dire il vero, le voci del mondo ambientalista critiche verso le uscite pro-referendum di Pecoraro Scanio e soci non mancano. Basta fare un salto in Laguna, terra di storiche battaglie ecologiste, dove Michele Boato, presidente dell’Eco-istituto veneto «Alex Langer», ha le idee piuttosto chiare sulla politica del Sole che Ride: «Una posizione demenziale», che ha «tradito tutta quella che è la tradizione dell’ambientalismo italiano» e che ha reso i Verdi attuali «brutte copie dei radicali». Boato, tra l’altro, ha appena dato vita ad un comitato «per il no al quesito referendario favorevole alla clonazione umana e allo sfruttamento degli embrioni».

Gianni Mattioli, ex-deputato verde, tra i fondatori di Legambiente nonché ministro nel secondo governo Amato, dice ad Avvenire: «Sono lontani i tempi in cui Alex Langer e io portammo avanti una risoluta battaglia per la salvaguardia della vita, seguendo motivazioni che non erano di carattere religioso ma squisitamente scientifico. Oggi chi rappresenta in politica gli ecologisti mi sembra appiattito su posizioni estranee alla cultura dell’ambientalismo, cioè quelle radicali». Mattioli non risparmia certo critiche alla legge 40, che considera «violenta» nella parte che prevede l’impianto obbligatorio nel corpo della donna degli embrioni prodotti (ma saprà che la norma è stata “intepretata” in senso a lui favorevole nelle Linee di applicazione del Ministero?). Tiene però a sottolineare come «il processo che dall’uovo fecondato va al bimbo che sgambetta dentro il seno di sua madre e al bimbo addirittura nato, dal punto di vista scientifico non conosce alcuna soluzione di continuità. È un processo non interrompibile, se non per motivazioni gravissime, a discrezione della donna». Aggiunge poi che «a fronte di percorsi assolutamente promettenti per quanto riguarda l’uso di cellule staminali prodotte senza ricorrere a embrioni, non vedo proprio perché si debba scegliere una via che non ha alcuna chance in più, anche per curare malattie molto gravi». Ma non basta. Mattioli sottolinea pure che «è proprio dal rispetto assoluto della vita, senza se e senza ma, che nasce il principio di precauzione». Quindi «mi sarei aspettato una posizione coerente con quelle idee che a suo tempo non sostenemmo solo Langer e io ma, quando si discusse di aborto alla Camera, sostennero anche le donne verdi».

Gianluca Felicetti, tra i primi deputati verdi, oggi dirigente della Lega Anti-vivisezione ricorda pure lui tempi molti diversi, tra l’89 e il 90, quando «i Verdi furono i primi a introdurre in ambito parlamentare la questione della procreazione artificiale, con iniziative che portarono poi all’approvazione di una mozione trasversale. E per la prima volta la Camera prese posizione chiedendo un impegno al governo sui temi della procreatica».
Tommaso Franci, nelle file dei Verdi dall’85 e oggi assessore all’ambiente nella giunta della Regione Toscana, ritiene che «in questo momento sarebbe negativo se venisse abrogata la legge 40. Una norma che avrà dei limiti, ma che indica il confine necessario nell’affrontare temi tanto delicati quanto banalizzati. La sensazione è che nel mondo dell’ambientalismo ci sia una contraddizione, evidente nel fatto che chi si batte contro un tipo di manipolazione della vita – per esempio gli organismi geneticamente modificati – non può avere un atteggiamento quantomeno ambiguo in casi come questi». E sul perché di tale ambiguità, Franci spiega che «oggi continua un processo di omologazione abbastanza grave all’interno dei Verdi. L’atteggiamento è quello di una totale assimilazione a un tipo di laicismo che considero molto deteriore».

Anche Giannozzo Pucci, figura storica dell’ecologismo nostrano, direttore dell’edizione italiana della rivista «The Ecologist» e vicino a pensatori come lo scomparso Ivan Illich o come uno dei numi dell’ambientalismo internazionale, Edward Goldsmith, spende giudizi controcorrente: «Condivido il fatto di non andare a votare, ma lo faccio al di là delle questioni tattiche, che conosco e capisco benissimo. Io non vado a votare perché considero illegittimo sottoporre questa materia a referendum». E sull’atteggiamento a riguardo di gran parte dei Verdi sottolinea che oggi «tutto quello che può suonare come un ostacolo al primato delle “libertà individuali” è considerato un tabù. Di conseguenza si affronta qualsiasi battaglia nella quale la colpa può essere ricondotta alle multinazionali: quando però la responsabilità è della singola persona allora ci si ferma, per la paura di toccare prerogative dell’individuo, ma anche per la mancanza di una visione etica globale».

Mao Valpiana, della prima generazione dei Verdi, oggi dirigente del Movimento non violento, dal canto suo obietta: «Quando abbiamo contribuito a fondare i Verdi, una delle questioni fondamentali era il senso del limite. Mi pare che questo punto di vista, che è stato decisivo per il nascere e lo svilupparsi del movimento ambientalista, oggi sia lasciato un po’ in disparte». Inoltre «prima che apra bocca Pecoraro o qualsiasi dirigente Verde, si può già essere sicuri di cosa dirà, quale sarà la posizione che prenderà: ovvero, quella tradizionale della sinistra. Che qualche volta può anche andar bene, intendiamoci, ma che resta sempre assolutamente prevedibile. Non c’è mai un’idea originale, di ricerca vera, che possa dare un po’ di scandalo, persino capace – se qualche volta il centrodestra dice qualcosa di ragionevole – di dire che si è d’accordo e si può fare un pezzo di strada insieme».

Ma anche fra i dirigenti stessi dei Verdi le cose appaiono più problematiche rispetto al monocorde appello referendario fatto passare sui media. L’altoatesino Sepp Kusstatscher, eletto al Parlamento europeo, non si sbilancia e dice che fra i Verdi europei il dibattito è molto aperto. Ma aggiunge: «Non condivido i giudizi dei radicali e ho difficoltà con le posizioni che hanno espresso i vertici del partito in Italia». Marco Boato, deputato e fratello di Michele, declina l’invito a rilasciare dichiarazioni sul tema e dice di avere ancora bisogno di tempo per esprimersi su questioni tanto delicate, riguardo alle quali però non ha «posizioni precostituite». Fra gli onorevoli più impegnati nella campagna referendaria, invece, le idee sono più ferme, ma non certo più chiare. «Noi siamo sempre stati contrari alla clonazione umana e anche a quella animale. Siamo contrari a questo uso mercificato della vita», puntualizza ad esempio Luana Zanella, fiera di essere «molto attenta al discorso dell’embrione come progetto di vita». Ma «progetto di vita dentro una madre desiderante, perché senza accoglienza femminile l’embrione è un assemblaggio di cellule, un progetto senza speranza che come tale andrebbe considerato». Le fa eco Laura Cima: «Personalmente l’unico referendum che non ho firmato è quello che riguarda la ricerca sugli embrioni. La nostra posizione come Verdi è sempre stata quella di favorire la ricerca sulle cellule staminali adulte e non sugli embrioni. Se poi ci sono alcuni di noi che sono favorevoli all’apertura di questo filone di ricerca per risolvere alcuni problemi genetici, la loro è una posizione del tutto personale. Questo mi sento di assicurarlo». Ottimo. Peccato che proprio sul sito della Federazione romana del partito dell’on. Cima si legga che «i Verdi, impegnati nei comitati promotori per l’abrogazione parziale della legge sulla fecondazione assistita, ti invitano a firmare i quesiti depositati presso la Corte di Cassazione riguardanti rispettivamente le norme che comportano rischi per la salute della donna, quelle che vietano la fecondazione eterologa e quelle che impediscono la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali». Ma saranno sicuramente posizioni personali. Oltre che di Pecoraro Scanio di chi?