RADICALI ROMA

Proibire è una scelta molto comoda Ha un solo difetto: non funziona mai

  Cara Paola, conoscendo e apprezzando la tua sincerità e lo spessore culturale delle tue ri­flessioni, e ritenendoti quindi ca­pace, più di altri politici mestie­ranti, di capire la logica e la so­stanza dei ragionamenti, penso che dovresti rivedere alcuni ar­gomenti che hai usato per criti­care il decreto ministeriale che raddoppia la dose minima di cannabis per uso personale.
 
Innanzitutto, là dove parli di «evidenze scientifiche» riguar­danti i danni alla salute conse­guenti all’uso di cannabis. Perché la scienza, come dovresti sa­pere, essendo un medico che si serve della letteratura referen­ziata, ha provato il contrario. Un famoso articolo pubblicato da una delle due più importanti ri­viste mediche al mondo, Lancet, nel 1995 chiudeva di­cendo che «fumare cannabis,   anche   a lungo, non è dannoso per  la  salute».  Su questa   conclusione convengono i mag­giori   tossicologi   e neurofarmacologi. Di conseguenza, la legge italiana è antiscientifica ed è un danno. Come la legge 40 sulla fecondazione assistita. Il decreto che la modifica è un pannicello caldo. Ben più radi­cali cambiamenti andrebbero fatti, come consiglierebbe anche una relazione votata dal Parla­mento europeo nel dicembre 2004, che, invitava a basare le politiche contro il consumo del­le droghe su dati e valutazioni scientifiche, dando la priorità al­la salute delle persone che fanno uso di sostanze illecite, e pro­muovendo misure alternative al carcere per i consumatori.
 
Voglio quindi sperare che non sia stata tanto la bontà di qualcuno a suggerire di elevare la dose minima consentita. Quanto il riconoscimento che le politiche non proibizionistiche e punitive riducono i rischi per la salute e creano le condizioni adeguate per un’assunzione di responsabilità vera da parte del­le famiglie e dei giovani.
 
Quello anche mi preoccupa, cara Paola, è la tesi che il partito democratico debba porsi il pro­blema di stabilire e proporre dei criteri universalmente validi, che ovviamente poi qualcuno penserà di tradurre anche in leg­gi, per dare un senso educativo ed etico alla vita degli individui. Non è che l’obiettivo sia in sé censurabile, se significa discute­re di come convivere meglio nella diversità delle esperienze personali e quindi anche dei va­lori che modulano le scelte individuali. Mentre diventa critica­bile se le dimensioni concrete delle relazioni umane che con­corrono alla formazione dei bi­sogni e dei valori vengono del tutto ignorate, per essere sosti­tuite o inventate a partire da dottrine filosofiche o religiose del tutto astratte. Non voglio essere generico. Se negli ul­timi tempi mi sono anche esposto perso­nalmente per critica­re certe degenerazio­ni della politica italiana, che sembrano mirare alla creazione di un vero e proprio stato etico, non è per motivi accademici. Ma perché la mia vita personale, quindi anche l’esperienza di ge­nitore, confrontata con le diver­se analisi e proposte politiche concepibili a partire da idee di­verse della società e del suo fun­zionamento, mi ha confermato che alcune opzioni sono miglio­ri di altre. Durante il dibattito sulla legge 40 mi sono trattenuto dal dire più spesso che mi infa­stidiva sentirmi dare lezioni su che cosa vuoi dire desiderare e amare un figlio da chi, per una scelta che rispetto, ha deciso di non averne. E quindi questa esperienza non la conosce. Ep­pure sono diventate norme del­le stato italiano dei divieti che accolgono idee sbagliate su co­me le persone arrivano a fare le loro scelte riproduttive.
 
Non diversamente è andata e sembra andare per la legge sulla droga. Solo chi non ha fi­glio o non segue da vicino l’evo­luzione della sua vita sociale, perché è interessato ad altro o perché non è riuscito a conqui­starsi o a mantenersi la sua fidu­cia e il suo rispetto, può credere, per ignoranza o comoda ipocri­sia, che un approccio proibizio­nista ridurrà il rischio che questi incontri la droga. La legge italia­na è pericolosa perché spinge nei labirinti della devianza un gran numero di giovani, per i quali il contatto con le droghe leggere è nella stragrande mag­gioranza dei casi un’esperienza occasionale, che non produce al­cun danno né li indirizza verso le droghe pesanti. Tutti coloro che sono davvero preoccupati per il rischio che i giovani si per­dano nel tunnel della droga, e che sempre più famiglie attra­versino un doloroso e arduo calvario, dovrebbero desiderare un radicale cambiamento della po­litica italiana in materia di tossicodipendenze.