RADICALI ROMA

«Quanta ipocrisia. Le donne lo chiedono anche se credenti»

Silvio Viale, radicale e padre della sperimentazione sulla pillola abortiva Ru486, non cita libri ma la sua esperienza di medico vissuta ogni giorno al Sant’Anna di Torino: «Tutte le donne che ho incontrato si comportano allo stesso modo, che siano di destra o di sinistra, che abbiano il crocifisso al collo come decoro o come segno di fede. L’unica differenza la fa l’avere in una mano un test di gravidanza che annuncia un figlio non voluto e nell’altra una diagnosi cromosomica che non ci si aspettava». Scusi, dottor Viale, ma come si comportano? «Si sottopongono a indagini prenatali e quando il risultato non è quello sperato, la stragrande maggioranza (direi tutte ad eccezione di due o tre) chiedono di abortire. Questo per dire che tutto quello a cui stiamo assistendo in queste ore è solo una grande strumentalizzazione della 194. Non un attacco frontale ma subdolo. Troppa paura dell’opinione pubblica. Meglio creare paura e confusione parlando di omicidi infantili o infanticidi ». Una convinzione che il padre della sperimentazione sulla pillola abortiva declina così: «Primo: si cerca di intimidire i medici che permettono l’applicazione della legge sull’aborto (ci sono zone della Lombardia, dell’Emilia Romagna e del Veneto dove le donne che vogliono abortire devono affrontare lunghe liste d’attesa o andare da un ospedale all’altro; si vuole costringere le donne ad andare all’estero anche per questo?). Secondo: si prova a limitare in un qualche modo la diagnosi prenatale (se ci sono meno bambini handicappati è proprio grazie a queste indagini), come è stato fatto per la fecondazione assistita».
Per Viale il problema sta nel fatto che l’aborto è «relegato ai margini della sanità». «Meglio non parlarne, guai ad investire nella ricerca scientifica, chissenefrega dell’aggiornamento professionale. Se ne parla solo a livello di dichiarazioni di principio». E l’aborto selettivo? «In alcuni centri la riduzione embrionaria viene fatta secondo le procedure della 194, considerando la cosa un aborto a tutti gli effetti. In altri viene eseguita sostenendo la tesi che anche se un embrione viene soppresso la gravidanza continua. Sì, insomma, c’è una gran confusione che va a braccetto con una grande ipocrisia». Una «ipocrisia» che ritorna più volte nelle parole del ginecologo torinese: «Ipocrita, profondamente ipocrita, è un Paese che vieta la diagnosi preimpianto e consente le interruzioni di gravidanza selettive. Ipocrita è un Paese in cui si parla di aborti eugenetici in modo strumentale: sono tutti eugenetici gli aborti terapeutici eseguiti a causa di malformazioni. Perché è un diritto sacrosanto, rivendicato dalle donne, quello di avere un bambino sano, un diritto di salute. La parola eugenetica spaventa solo se è usata strumentalmente per creare polemica». Aggiunge Viale: «Nei casi in cui una donna ricorre poi a un aborto selettivo, la scelta, difficilissima, è fatta proprio per favorire la crescita dell’altro bambino. Non si può dire la colpa è del medico o dei genitori. Non si può giocare alla caccia all’assassino come se si parlasse dell’omicidio di Garlasco. In questi casi la vera responsabilità è solo della diagnosi prenatale. Poi entra in gioco il libero arbitrio di ciascuno. E in un Paese cattolico penso che il libero arbitrio sia una prova per chiunque».
Alessandra Mangiarotti