Dove agli utenti dei servizi pubblici non può essere data la scelta tra fornitori diversi, cioè non si può introdurre un meccanismo di mercato, occorre dare loro almeno la possibilità di controllo e di denuncia delle inefficienze. Se le associazioni degli utenti, i giornalisti specializzati, i centri di ricerca, disponessero dei dati necessari, essi sarebbero capaci di controllare l’efficienza delle strutture pubbliche persino meglio di quanto ne siano capaci le strutture stesse. Questa capacità costituisce una risorsa preziosa, che potrebbe essere utilizzata a costo zero: basterebbe un porre il principio della totale accessibilità dei dati. Questo potrebbe avere un impatto positivo persino superiore rispetto all’istituzione degli organi interni indipendenti di valutazione, che pure sono indispensabili.
Immaginiamo, per esempio, che in una grande città-come Milano o Napoli – fosse garantita la totale disponibilità al pubblico dei dati analitici sul funzionamento del servizio di vigilanza urbana: dalle retribuzioni agli orari di lavoro, alle mansioni effettive, alle assenze e relativi motivi; e poi: quanti si occupano del commercio, quanti del traffico, quante contravvenzioni fatte da ciascuno, quante e quali sanzioni disciplinari irrogate, per quali mancanze, e così via. Immaginiamo poi che – come accade in Paesi più civili del nostro – si applichi la prassi della public review, cioè che una volta all’anno l’organo di controllo comunale sia tenuto a confrontare in un dibattito pubblico le proprie valutazioni con quelle espresse dagli osservatori qualificati di cui si è detto sopra. Solo allora, probabilmente, si incomincerebbe a scoprire e a misurare con precisione quanto l’impegno di alcuni vigili sia maggiore dell’impegno di altri, se promozioni, aumenti salariali e sanzioni siano o no in rapporto con il merito effettivo, quanto manchino i vigili in periferia e di notte, quale gap di qualità e costi ci separi dalle altre grandi città europee, quale sia il tasso di soddisfazione della cittadinanza per il servizio; e tanti altri dati importanti ancora.
Oggi i nostri ricercatori possono accedere a tutti i dati relativi alle amministrazioni della California o della Svezia, ma non a quelli relativi alle amministrazioni italiane, che si tratti della vigilanza urbana o della giustizia, di personale sanitario o di professori. Da noi vige di fatto il principio esattamente contrario a quello della trasparenza; la prassi (giuridicamente infondata) è quella del segreto. Questo viene sovente giustificato con la protezione della privacy degli addetti al servizio; ma il principio della privacy – cioè della protezione della vita privata delle persone – qui non c’entra per nulla: il riserbo con cui si occultano i dati analitici sul funzionamento delle nostre amministrazioni risponde semmai all’antico principio di inaccessibilità degli arcana imperii, che da sempre protegge i poteri autoritari, i sovrani assoluti. Oggi da noi esso protegge le posizioni di rendita diffusamente annidate nei meandri del pubblico impiego, a cominciare da quelle dei dirigenti negligenti o inetti.
Trasparenza e pieno coinvolgimento della cittadinanza nel controllo sono i cardini del progetto di legge che è stato presentato al governo e ai sindacati la settimana scorsa e ieri in Parlamento da deputati e senatori di maggioranza e di opposizione (lo si può leggere nei siti corriere.it e www.lavoce. info). È auspicabile che il suo iter di approvazione, nonostante le prevedibili resistenze dei sindacati del settore, sia facile e rapido: dell’attività dell’impiegato pubblico, del civil servant, in un regime veramente democratico, deve potersi conoscere tutto.