La neutralità rispetto agli schieramenti e ai partiti era prevedibile. E così il «no» alle unioni di fatto. Non sorprendono neppure le reazioni alle parole del cardinale Camillo Ruini, presidente della Cei. Col centrodestra e parte dell’Unione impegnati ad annetterselo, e il radicalismo di sinistra ad attaccarlo. Nessuno si è sottratto ad un gioco delle parti un po’ stucchevole e rétro. Anche perché la polemica si concentra su un «elettorato cattolico» che costituisce un’entità ambigua e sfuggente. La «diaspora culturale» che Ruini vuole scongiurare c’è già stata. Colpisce, semmai, il suo accenno all’«ultimo tratto che mi accingo a percorrere ». È la conferma che l’uomo più potente della Chiesa italiana si considera non lontano dalla scadenza, almeno come capo dei vescovi.
Il suo discorso può essere letto anche come un testamento «politico» in vista delle elezioni del 9 e 10 aprile. Permette di misurare il cambiamento di un decennio. È un percorso che ha portato la Cei dall’appoggio alla Dc, all’emancipazione dal passato democristiano; e poi da qualsiasi collateralismo di schieramento, privilegiando chi, di volta in volta, è stato visto come un alleato sul piano dei valori: comunque si collocasse.
Ruini era stato un sostenitore della Dc e poi del Ppi di Martinazzoli: una linea sconfitta dalla vittoria di Silvio Berlusconi nel 1994. Da quel momento, la «sua» Cei ha scelto un’equidistanza che non le ha risparmiato il sospetto di essere comunque schierata. È stato trasparente il sostegno al Polo nel 1996: se non altro perché l’alleanza fra il cattolico Romano Prodi e la sinistra era guardata male. In seguito, Ruini ha accentuato una strategia basata sui «valori», e sull’appoggio a chi li propugnava.
Ma senza identificarsi con nessuno schieramento. Le reazioni positive al suo discorso da parte del premier Silvio Berlusconi e del centrodestra; ma anche del leader dell’Unione, Prodi, di Rutelli, di Fassino (ma non di comunisti, socialisti e radicali), fotografano partiti decisi a non entrare in conflitto con la Cei. Anche se Ruini addita con inquietudine le correnti dell’Unione considerate anticlericali. È significativa la critica alle Regioni governate dalla sinistra, che approvano «proposte sulle unioni di fatto»; e che le vorrebbero «legge dell’intero Paese ». Enrico Boselli, fondatore della Rosa nel pugno, ne deduce che Ruini non è neutrale e si comporta «da premier ombra»: un ruolo mitizzato.
Lo spagnolo El País teorizza un’Italia nella quale «non si vince senza il placet ecclesiastico », ma è una vulgata smentita dalla realtà. L’unica convergenza che si è avuta spesso è stata fra Ruini e il capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi: a difesa dell’unità del Paese, e per campagne elettorali meno laceranti. Non a caso, ieri il capo dei vescovi ha fatto un’apertura sulla religione islamica nelle scuole, prudente fino allo scetticismo. Non in nome del primato cattolico, però, ma della Costituzione.