Il progetto di matrimonio tra Radicali e Unione reggerà alla prova del programma? La risposta è tutt’ altro che scontata, a leggere bene non solo la bussola storica di un movimento resistente ai compromessi, ma anche tra le righe della relazione del segretario Daniele Capezzone al Congresso dei Radicali italiani svoltosi a Riccione alla fine di ottobre.Al di là della decisione di costituire un nuovo soggetto politico con i socialisti dello Sdi e lasciando per una volta da parte i temi della laicità dello Stato e del ritiro dei militari dall’Irak, è l’intesa stessa con l’Unione di Prodi in chiave alternativa al Centrodestra il terreno su cui la pattuglia radicale vorrebbe far scattare la sua carica riformista.
Il problema è proprio questo: l’identità di questa carica, la sua direzione di marcia e l’impatto sugli alleati. Quanto all’identità, nessun dubbio sul fatto che siamo di fronte a una formazione che a partire da quell’11 dicembre 1955, giorno in cui il Partito radicale comparve ufficialmente sulla scena, ha sempre tenuto alta la bandiera liberale. Allora, il Pr nasceva sull’onda dell’uscita a sinistra dal Pli di Malagodi, per il quale democrazia liberale e democrazia socialista erano inconciliabili. Alle spalle aveva le battaglie del «Mondo» di Mario Pannunzio, i cui storici convegni avrebbero poi contribuito in maniera decisiva alla formazione del programma del primo Governo di Centro-sinistra.I radicali bucavano l’”aria fritta” della piccola politica romana denunciata da Ernesto Rossi e guardavano fuori, all’esperienza del “new deal” rooseveltiano e ai Governi laburisti inglesi del dopoguerra. Volevano, e subito, moderne leggi antitrust contro i monopoli privati (abbiamo dovuto attendere, incredibile ma vero, fino al 1990), puntavano alla riforma dello Stato e della pubblica amministrazione, aborrivano corporazioni, rendite e faccendieri. Ieri come oggi guardando verso i socialisti e i laburisti inglesi. Ieri come oggi per gettare un ponte a sinistra. Ieri come oggi contro i corporativismi e per la modernizzazione del Paese. Ma, allora, dov’è il problema?Occorre una svolta, afferma Capezzone che vuole “subito” un’alleanza con il Centro-sinistra in attesa della “Rivoluzione liberale”. “Ci vuole più Blair, ecco perché ci vogliono più radicali». «Il Centrosinistra ha bisogno di Blair, di una scossa anche sul fronte economico-sociale; non basta — continua — battere Berlusconi, occorre anche e soprattutto rispondere alle domande di modernizzazione e liberalizzazione che il suo Governo ha deluso e tradito».Il problema è che dosi addizionali di “blairismo” (ammesso e non concesso che quelle ordinarie siano state già somministrate) sono difficili da far digerire in Italia. A destra, che pure ha avuto il merito di varare una riforma come la “legge Biagi”, di stampo, per così dire, anglosassone; e a sinistra, che proprio quella legge vuole cambiare profondamente (o abrogare del tutto, come vorrebbe Rifondazione comunista).A rivolgere lo sguardo verso Londra, contro un modello di welfare che i radicali definirebbero “cassintegrazionista”, ci provò con coraggio anche Massimo D’Alema, ma fu costretto a frenare. Capezzone insiste, vuole più mercato per tutti: «Incontriamo Blair, quello che denuncia l’iniquità e inefficienza dell’attuale modello europeo e quello che trova una possibile terapia e spiega che, come gli anni 80 sono stati quelli dei sindacati e gli anni 90 quelli dell’economia, gli anni Duemila devono essere centrati sulla possibilità di scelta dei consumatori dei servizi».Dicono i radicali che questa è una battaglia “di sinistra”. Vero. Però una bella fetta della sinistra è già scesa in piazza contro la “direttiva Bolkestein” che liberalizza i mercati dei servizi. L’accordo politico con l’Unione sarà anche vicino, ma la strada verso la Rivoluzione liberale è ancora lunga. E in salita.