SEUL — Si sposta sempre con guardie del corpo armate. Lavora almeno 16 ore al giorno nel suo laboratorio universitario. E deve continuamente fuggire alle migliaia di richieste quotidiane di chi in tutto il mondo vede in lui il possibile «guru» capace di curare anche in extremis esistenze distrutte dalla malattia. L’hanno definito «il mago che ridona la vita», «l’uomo più importante di Corea», «la speranza che arriva dall’Asia», «lo scienziato del futuro». Ma anche «il mostro della clonazione», «l’assassino di embrioni», il «pericolo più grave per le prossime generazioni». A incontrarlo nel suo ufficetto al secondo piano dell’edificio numero 85 nell’istituto di «Thieriogeneologia» della facoltà di Veterinaria a Seul si ha comunque l’impressione di uno studioso enormemente innamorato del suo lavoro. Come spesso avviene per gli uomini dominati dalla passione, Woo Suk Hwang appare più giovane dei suoi 53 anni. Ha modi cordiali, semplici, sbrigativi.
LA DETERMINAZIONE – Ma non nasconde di credere fermamente in ciò che fa. Una fede sviluppata sin da quando, meno che tredicenne, povero ragazzino di campagna in un villaggio sconvolto dalle crudeltà recenti della guerra di Corea, decise che avrebbe studiato veterinaria per curare le tre mucche di famiglia. «Grazie alle nostre ricerche sulle cellule staminali, la vita degli uomini sulla Terra potrebbe presto migliorare enormemente. Attenzione, non penso che grazie alle nostre ricerche potremo ritardare in modo significativo la morte. Però certamente la qualità delle nostre esistenze sarà molto più alta», dice con un largo sorriso. E azzarda una previsione: «Forse entro un ventennio potremmo essere in grado di riparare larga parte dei tessuti umani e persino di ricostruire in laboratorio cellule staminali capaci di collegare i tessuti nervosi. Se fosse così, ci sono speranze per chi è paralizzato a letto dalla frattura della colonna vertebrale e l’interruzione del midollo spinale». Mentre parla indica sulla libreria le due biografie di Christopher Reeve, l’attore americano che impersonava Superman, poi, in seguito a una caduta da cavallo nel 1996, rimasto paralizzato sino alla sua morte pochi mesi fa. «Eravamo in contatto, sperava in noi», ricorda con un sospiro. Non conosce il caso di Ambrogio Fogar. In ogni caso la risposta è uguale. Il suo nome è noto.
LA BANCA DELLE CELLULE – Ma adesso l’apertura prevista per il 19 ottobre della sua «banca di cellule staminali» lo sta rilanciando all’attenzione mondiale. «Ecco il prossimo candidato al Nobel per la medicina», titolano i quotidiani sud-coreani. Non a caso il governo di Seul ha accresciuto le misure di sicurezza. Puntano su di lui per sviluppare l’economia del futuro: le bio-tecnologie. «Troppe persone vogliono incontrarlo. Non escludiamo che qualche estremista cristiano o fanatico di qualsiasi tipo non cerchi di assassinarlo», confidano i funzionari governativi che controllano le credenziali dei visitatori. Lo incontriamo mentre sta facendo le valige. Oggi sarà ospite della municipalità di Bologna per illustrare le sue ricerche. «Un viaggio lampo. Devo tornare subito indietro a preparare la conferenza di presentazione della nostra banca. E’ destinata a raccogliere varie tipologie di cellule staminali, che non verranno cedute a privati, ma serviranno per gli scambi con istituti di ricerca simili al nostro e diffusi nel mondo», racconta frettoloso. Ha però il tempo per spiegare a un giornalista italiano l’essenza del suo lavoro. «So che nel vostro Paese la cultura della Chiesa si oppone con forza alle nostre ricerche. Liberi di farlo, rispetto le leggi e le tradizioni di qualsiasi nazione. Da noi tuttavia il governo ci finanzia per oltre due milioni di dollari all’anno. E ciò perché sanno benissimo che siamo contrari a qualsiasi tipo di clonazione umana. I nostri limiti morali ed etici sono rigidissimi», ci tiene a sottolineare. Solo in agosto ha dovuto giustificare la scelta di clonare Snoopy, un cagnolino afgano. «Ma non lo farò mai per gli uomini», aggiunge. Una difesa d’ufficio che diventa il fulcro della sua argomentazione: «Nel caso di cellule umane non siamo mai intervenuti sugli embrioni».
IL LABORATORIO – Il suo laboratorio è infatti diviso due reparti. Entrando sulla sinistra si arriva a quello per gli animali, dove più o meno tutto è permesso. Ci lavorano una quarantina di persone tra assistenti e ricercatori. Ieri mattina stavano estraendo cellule staminali da ovaie di scrofe e di mucche. Sulla destra, il dipartimento per le cellule staminali umane è invece rigorosamente «off limits» per i non addetti ai lavori. Soltanto una decina di suoi collaboratori fidati possono accedervi. «Qui non è mai entrato un embrione», dice Woo Suk Hwang indicando la porta chiusa. E spiega: «La nostra banca delle cellule staminali, come del resto tutte le ricerche precedenti, si basa su materiale raccolto da corpi di adulti, specie da sotto gli strati superficiali della pelle. E su questo punto non c’è problema neppure per il Vaticano. Quanto invece a quelle che vengono definite “cellule embrionali” occorre chiarire che le nostre non lo sono affatto. Perché noi interveniamo sulle cellule delle ovaie, ma mai fecondate da sperma maschile. Chiamo la nostra attività: trasferimento somatico sul nucleo delle cellule, perché mai in alcun caso vi è clonazione, né tanto meno fertilizzazione». La sua definizione in merito è molto semplice: «La vita incomincia nel momento in cui lo sperma raggiunge l’ovulo femminile. Ma noi preleviamo le cellule staminali dall’ovulo che non è mai stato fecondato e neppure sfiorato da alcun spermatozoo».
Lorenzo Cremonesi