RADICALI ROMA

Roma paghi i debiti: venda i suoi gioielli.

È vero. Non c’è alcuna ragione per cui Milano debba pagare i debiti di Roma, una buona amministrazione, quale è stata quella di Albertini, debba pagare per una cattiva amministrazione quale è stata quella prima di Rutelli e poi di Veltroni. Sarebbe contrario non solo al buon senso, ma al richiamo elettorale, vincente per la Lega, al federalismo fiscale. Non ci si può nascondere che mentre le amministrazioni milanesi sono sempre state relativamente omogenee all’attuale maggioranza di governo, la conquista del Comune di Roma da parte di Alemanno, vendicando il Fini del 1993, è stata un trionfo, una vittoria epocale, paragonata alla Bologna espugnata da Guazzaloca, e speriamo non per una sola volta. Anche per questo le terribili difficoltà della nuova amministrazione che si è trovata, senza colpa, a ereditare un debito vertiginoso non devono impedire un progetto di rinascita, e non devono ostacolare l’affermazione, ove vi sia, di una nuova, più aperta, meno assistenziale idea della politica che, in nessun luogo come a Roma deve essere coraggiosa politica culturale.
Con ciò intendo che non ci si può limitare o non si deve immaginare di fare l’opposto di quello che ha fatto la sinistra, per tante ragioni e perché molte espressioni della cultura sono nate entro la sinistra, intesa come opposizione al potere, anche solo idealmente, e nonostante le compiacenze e gli ammiccamenti dello stesso potere sulla carta combattuto; ma una nuova cultura deve fare ciò che la sinistra non ha fatto, non è riuscita a fare, non ha potuto fare, non ha voluto fare. Ed è tanto, solo valutando i pregiudizi per la prima volta denunciati, con intelligenza dialettica, da Pasolini. E dunque Alemanno va sostenuto con grande responsabilità dello Stato, e non a danno di Milano, ma per impedire che lo scatto di Roma, dopo l’iniziale entusiasmo, si blocchi, arenandosi nelle sabbie mobili di una città accondiscendente e pigra, in cui tutti sono amici di tutti e nessuno fa nulla.
Alemanno, e anche il suo assessore alla Cultura, devono essere messi alla prova e avere la possibilità di indicare strade nuove e di percorrerle per dimostrare (ne ha già dato uno spunto Alemanno con la condanna della teca dell’Ara Pacis) una discontinuità non soltanto verbale, ma di proposte, di fatti, di apertura al nuovo e al diverso che talvolta è semplicemente una riflessione sull’antico dimenticato e trascurato, che è la vera identità di Roma nel mondo. A partire dall’acquisizione della collezione Torlonia, fallita a Veltroni (e anche a Berlusconi). Occorre denaro, da spendere bene. Il Papa ha dimostrato discontinuità, per esempio, ritornando alla Messa in latino, criticando implicitamente i ridicoli aggiornamenti il cui peggior esito è stata la distruzione di migliaia di bellissimi altari per creare orribili mense rivolte a un popolo, invitato a scambiarsi i saluti e «segni della pace» (antefatto della retorica pacifista negli ultimi tempi) come a un cocktail. Milano non dovrà sacrificarsi. Ma l’Expo, da cui sembrano tratti (o sottratti) i primi 500 milioni di euro per riparare il deficit miliardario di Roma, ha certo bisogno di finanziamenti, ma sarebbe paradossale per Milano che essi piovessero da Roma, quando, nonostante il desiderio dell’attuale sindaco, l’Expo è un’opportunità per le imprese per gli imprenditori, che la città deve stimolare e accogliere, soprattutto se non si deve modellare sull’E42 con padiglioni e architetture di Stato. Milano è città produttiva che deve consentire investimenti senza i limiti e i vincoli che vi sarebbero a Roma, o che ostacolarono l’Expo a Venezia. Milano è la città che sale, il sindaco tifoso del trio di architetti chiamati per la Fiera lo sa perfettamente. Un sacrificio oggi, per Roma, non può essere considerato una provocazione verso Milano e il Nord, ma un esempio per distogliere Roma dalle abitudini di spese assistenziali e di finanziamenti protezionistici. È proprio questa l’occasione per smontare lo schema di «Roma ladrona», ma non trasformandola in Roma pezzente. Milano può esportare una parte dell’Expo a Roma, confermandosi capitale economica che si rispecchia nella gloria e nel trionfo dell’antica e nuova capitale politica. E questo è il mio augurio.