RADICALI ROMA

RU 486 & C., ecco il "modello Italia"

  Di tutta la politica che ho fatto il principio della riduzione del danno è tra quelli che ha tenuto più a lungo, sopravvivendo a flussi e riflussi. Esempio concreto: un aborto con minor danno fisico e psicologico per il maggior numero dì persone (la donna e i suoi familiari) e con spesa pubblica inferiore, è senz’altro meglio di un aborto che comporta sofferenza e ospedalizzazione. L’aborto con la pillola RU 486, la cosiddetta pillola abortiva, è certamente preferibile all’aborto chirurgico.

 

 

 

 Certo, sempre di aborto si tratta. L’embrione muore in tutti i casi. Nel migliore dei mondi possibili aborti non ce ne sarebbero, e tutti gli embrioni diventerebbero figli vivi. Ma il nostro mondo è solo perfettibile, e la politica dovrebbe servire a migliorarlo. La decisione del ministro della Sanità Storace di fermare la sperimentazione della RU 486 in Piemonte – abortirai con dolore – non sembra ispirata al principio della riduzione del danno. A meno che non si ritenga che aumentando la sofferenza gli aborti diminuiranno: si fidi, non è così Da questo punto di vista, la decisione di Storace è politicamente inefficace e umanamente impietosa. Forse la sua efficacia sta altrove, e precisamente nell’aprire ulteriori spazi di dialogo con l’interlocutore politico più ambito in questo momento della nostra storia: il Papa, e le gerarchie della Chiesa Cattolica. Ambizione legittima e molto diffusa, e non solo tra le forze dì governo. Niente RU 486 (e possibilmente niente 194). No alle coppie gay e di fatto. Niente divorzio veloce E una legge sulla fecondazione assistita tra le più restrittive d’Europa. Una biopolitica coerente che ci autorizza a parlare di un “modello Italia”, curioso meticcio tra uno stato laico e uno stato religioso di tipo mediorientale.

 

 

 

 Può anche essere una buona idea, io non lo so. Però dìscutiamone. Che la Chiesa parli – anzi, tuoni – è segno dei tempi e non deve stupire. Sorprendente, semmai, è l’acquiescenza venata di paura dei rappresentanti dello stato laico. E quando il dialogo diventa un monologo, atei o credenti che si sia, non c’è mai da stare troppo allegri