RADICALI ROMA

Ru486, la fine del pregiudizio

Il ministro della Salute Livia Turco ha presentato la relazione annua­le sull’attuazione della legge 194 che contiene – come ci viene ricor­dato continuamente dagli antiabortisti – «norme per la tutela sociale della mater­nità e per l’interruzione volontaria della gravidanza». Lo sottolineo perché una prima riflessione che propongo è la con­statazione che in queste relazioni, dovu­te per legge, l’unico dato “monitorizzato” è quello che riguarda il fenomeno di in­terruzione volontaria della gravidanza (Ivg). Per quanto previsto dagli articoli 1 e 2 della legge (promozione di «iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nasci­te» e rendiconto sull’attività dei consul­tori familiari), l’unico dato riportato si ri­duce alla presentazione della tabella 17 sul numero dei consultori funzionanti nel 2005. Cosa venga fatto su questo punto da Stato e Regioni, non lo si dedu­ce dalla relazione, salvo leggere la dichiarazione che «convintamente si ribadisce che nel nostro Paese è necessaria e auspi­cabile una vera e seria strategia di politi­che pubbliche di promozione della na­talità, cui le responsabilità complessi­ve del governo sono chiamate. Si riba­disce altresì che la prevenzione dell’a­borto è obiettivo primario di scelte di sanità pubblica, attraverso un rinno­vato impegno programmatorio e ope­rativo da parte di tutte le istituzioni competenti». Viene confermato il dato positivo che nel 2006 sono state notifi­cate un numero di Ivg in decremento del 2,1 per cento rispetto al 2005, con un decremento del 44,6 per cento ri­spetto al 1982. Dato che avvalora gli argomenti di chi si è battuto per questa legge contro quanti sostenevano chela legalizzazione avrebbe comportato un incentivo all’aborto volontario.
 
Particolare rilievo assume nella relazio­ne del ministro la notifica degli aborti farmacologici in Italia dal 2005, nonostante l’assenza della commercializza­zione del mifepristone (Ru486) nel no­stro Paese, sulla base della normativa che prevede la richiesta di importazione di un farmaco come da decreto ministe­riale dell’ll febbraio 1997. Per una sempre più vicina introduzione di questa metodica alternativa all’aborto chirur­gico è importante specificare che nel giugno scorso la Commissione euro­pea ha approvato le raccomandazioni dell’Etnea (Agenzia europea per i me­dicinali) per uniformare le indicazioni del farmaco nella Ue. «Sebbene deb­bano essere considerate alla luce delle leggi e dei regolamenti vigenti in ogni Paese esse costituiscono un importan­te riferimento sanitario per i membri».
 
Resta drammatico il dato dell’obiezione di coscienza degli operatori. Solo poche Regioni hanno aggiornato l’informazione. Per regioni come la Campania e la Li­guria i dati risalgono al 1999, per la Cala­bria al 2000, per il Lazio al 2003. Con questa avvertenza, per il 2005 risulta aver opposto obiezione di coscienza il 58,7% per cento dei ginecologi, il 45,7 per cento degli anestesisti e il 38,6 per cento del personale non medico. Con punte di quasi l’80 per cento dei ginecologi obiet­tori di coscienza nelle Marche. Per quanto riguarda i tempi di attesa per l’intervento, nel 2005 «è aumentata la percen­tuale di Ivg effettuate entro 14 giorni dal rilascio del documento (58 per cento) rispetto al 2004 (54,2%). La cittadinanza straniera è associata a un maggiore tempo di attesa. Percentuali tempi di attesa oltre le due settimane vanno valutate con attenzione a livello regionale in quanto possono segnalare presenta di difficoltà nell’applicazione della legge». Questo dato riflette la realtà che come ginecologi riscontriamo quotidianamente sulle  difficoltà che le donne straniere trovano nell’accedere ai servizi di Ivg. Credo che per fare un uso conse­guente della lettura dei dati dei ministero della Salute sia necessaria una maggiore responsabilizzazione del­le Regioni, che dovrebbero farsi carico di un monitoraggio più aggiornato delle singole situazioni e promuovere specifi­che iniziative per migliorare i servizi. E ottemperare al tanto disatteso articolo 9 della legge che prevede: «Gli enti ospe­dalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Re­gione ne controlla e ga­rantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Proposta indecente: e se tornassimo a parlare della possibilità che una paziente possa scegliere il medico con cui effettuare una Ivg? Anche a pagamento, in regime di intramoenia? Collocando finalmente le Ivg nel loro giusto ambito di interventi medico-chirurgici che in Italia, piaccia, o io, vengono eseguiti nelle strutture sia pubbliche che private. E risolvendo i tanti problemi legati ai vincolo di quello che i Radicali chiamarono a suo tempo «aborto di Stato».