RADICALI ROMA

Rubbia: «L'Italia dovrà darsi una regolata»

  «L’Italia dovrà darsi un bella regolata per affrontare seriamente i problemi del clima e dell’energia, strettamente legati fra loro nelle scelte da attuare». Con la franchezza che gli è abituale il Nobel Carlo Rubbia non indulge sulla diagnosi di una situazione la cui gravità è, peraltro, sotto gli occhi di tutti. Ma con un filo di ottimismo offre valutazioni e suggerimenti che potrebbero aiutare a invertire la rotta.

 

 

 

Clima e energia: quanto si lavora su questi fronti?
«È ora di smetterla di organizzare convegni, bisogna rimboccarsi le maniche passando ai fatti. Discutere va bene, ma finora ci si ci è limitati soprattutto a questo impegno che non produce risultati. E la realtà è che continuiamo a comprare troppa energia per mandare avanti il Paese».

 

 

 

Un richiamo simile è stato lanciato anche dalla Commissione europea?
«Certo, perché il problema è generale. Ho appena partecipato a un meeting con il presidente Barroso e l’indicazione espressa è chiara: in Europa ci sono diversi modi di vedere la questione energetica e climatica, la Francia ad esempio è a favore del nucleare, la Germania no. Ma tutti dobbiamo muoverci verso un obiettivo comune lasciando ad ognuno la libertà di scegliere la via per raggiungerlo ».

 

 

 

La questione, però, va ben oltre il Vecchio Continente…
«Appunto per questo dobbiamo vedere che cosa fanno i Paesi ipertecnologicizzati come l’America e quelli in via di sviluppo come la Cina e l’India. Di certo l’Europa deve scegliere di essere tra i più avanzati, deve decidere di essere un capofila esportatore di tecnologie perché energia e clima sono anche due grandi affari economici che bisogna cogliere. È proprio su questi temi che l’Europa dimostrerà la sua capacità di soddisfare o meno i propositi stabiliti a Lisbona».

 

 

 

E la condizione italiana in questo contesto, come si presenta?
«Dobbiamo uscire dalla situazione di instabilità e di conservatorismo nella ricerca e nel mondo industriale che ancora permane. Inoltre non c’è ancora una direzione precisa in cui muoverci».

 

 

 

Qualcosa si è fatto, oppure no?
«Ben poco, quasi nulla. Adesso è necessario creare le condizioni per essere tra i primi nel gruppo d’avanguardia, altrimenti saremo succubi degli altri Paesi perché la concorrenza sarà aspra in quanto tutti vorranno essere padroni delle tecnologie da vendere capaci di produrre ricchezza e posti di lavoro».

 

 

 

Che direzione, secondo lei, è opportuno prendere?
«Parlando di energie rinnovabili molto chiacchierate ma poco coltivate, è inutile insistere con l’energia eolica perché di vento ce n’è poco nella Penisola al contrario dei Paesi del Nord o dell’Irlanda. Anche la biomassa rappresenta una nicchia limitata. Invece il sole è l’unica sorgente che abbiamo abbondante e ancora da sfruttare. Noi, con le altre nazioni del Sud Europa, Spagna e Grecia, dobbiamo lavorare su questo fronte anche costruendo impianti solari nel Nordafrica, nel Sahara ad esempio dove ci sono grandi spazi desertici, trasferendo via cavo l’energia prodotta verso la Sicilia. Gli spagnoli, sempre più attivi, hanno già il progetto di una centrale da due miliardi di watt da realizzare in Marocco».

 

 

 

E l’idrogeno non è una prospettiva?
«Anzi, è una necessità impellente. Se vogliamo affrontare seriamente il riscaldamento del clima bisogna sostituire il combustibile utilizzato dal miliardo di veicoli ogni giorno in transito sulle strade del pianeta generando anidride carbonica. L’idrogeno è l’unica via per sostituire il petrolio ma occorre ancora un buon lavoro di ricerca per utilizzarlo. E se non lo farà l’Italia, lo faranno gli altri. Io raccomanderei ai miei illustri colleghi di impegnarsi di più».

 

 

 

Se in Italia si è concluso poco, il problema sono le risorse o cervelli?
«Sono le risorse e il sistema, più che i cervelli. A parte i fondi inadeguati alla ricerca, le altre grandi difficoltà derivano dalle strutture bloccate come il Cnr e l’Enea. Il sistema è addormentato e conservativo, non esiste la necessaria organizzazione, non si stabiliscono le priorità e non si lascia spazio alla meritocrazia. Da noi uno Steve Jobs che inventa il personal computer in un garage della California, anche se lo inventasse non riuscirebbe mai a costruirlo e diffonderlo. Le tecnologie che renderanno utilizzabile l’idrogeno saranno rivoluzionarie negli effetti quanto il computer; oltre a risolvere il problema energetico e salvare l’ambiente».