Da ex radicale, Francesco Rutelli teneva ancora in cantina vecchie copie di «Satyagraha», documento su pensiero e azione di Gandhi da lui redatto e curato nel lontano ’79, quando condivideva militanza e battaglie con Pannel-a. E quando racconta che le ha ritrovate per caso, e le mostra prima di salire sul volo che lo porta a Nuova Delhi, dove parteciperà oggi, assieme a premi Nobel e politici di mezzo mondo, alla conferenza internazionale sui 100 anni dal primo Satyagraha gandhiano, lo fa con una certa tenerezza per quel passato lontano: «Queste cose le ho scritte che avevo 24 anni, non saranno pietre miliari della filosofia, però sono interessanti, no? I radicali non erano solo battaglie civili e divorzio, erano Ghandi, non violenza, lotta alla fame nel mondo. Erano progressisti…».
I radicali, appunto, erano tutto questo. Trent’anni fa. Non la sinistra — sembra dire Rutelli — che oggi sventola polemicamente la bandiera della pace e contesta la presenza in Afghanistan. «In Italia — ragiona infatti il vicepremier tra una visita alla città vecchia di Delhi e un incontro con Sohia Ghandi — c’è stata una generazione che ha fatto politica sulla canna del fucile. C’era chi difendeva la violenza, perché erano gli anni del terrorismo, avevamo le pistole per strada… Nella prevalente cultura della gioventù europea, si pensava che l’atteggiamento gandhiano fosse velleitario, complice dell’oppressione».
Ecco perché «quello a cui oggi assistiamo, e cioè l’approdo di Bertinotti che si dichiara “non violento”, è un fatto a suo modo storico: non solo per la dichiarazione di principio, il rifiuto della violenza, ma per la traiettoria, l’itinerario di una generazione che aveva considerato la non violenza come un fatto pseudo mistico, perfino a-politico» e che oggi invece comprende «nel suo Pantheon ideale anche la figura di Gandhi»: è segno di una «evoluzione importante di chi aveva vissuto nell’utopia e nell’illusione rivoluzionaria». Ed è positivo, come oggi dirà nel suo intervento.
Ma anche per questo Rutelli, che si sente dalla parte giusta di chi il pacifismo lo ha considerato un valore prima degli altri, manda un messaggio a chi a sinistra dice no al rifinanziamento della missione in Afghanistan: «Questo governo — scandisce — in politica estera si fonda sul ritorno al multilateralismo dopo l’infelice esperienza dell’unilateralismo di Bush sull’Iraq. E la missione in Afghanistan, dove siamo per decisione dell’Orni, con la Nato e con il sostegno dell’Unione Europea, è la più correttamente multilaterale che si possa immaginare». E siccome «noi siamo un Paese che si prende le responsabilità anche quando sono difficili», è «evidente che non ci ritiriamo e non ci ritireremo dall’Afghanistan».
Certo, concede Rutelli «come hanno detto anche Prodi e D’Alema, dobbiamo migliorare l’efficacia della nostra presenza, e infatti stiamo ragionando di una conferenza internazionale, del potenziamento delle attività civili, del contrasto alla coltivazione e al traffico dell’oppio», ma è solo «in questo quadro» che si può ragionare, perché non è ammissibile mettere in discussione la presenza italiana a Kabul: «La situazione è chiara e semplice: fa parte del programma, della responsabilità del governo ed è cruciale per la credibilità del nostro Paese che si voti il sì al decreto». E se un partito o anche solo alcuni esponenti della sinistra estrema dovessero votare no? «Io non mi pongo nemmeno il problema — è la risposta secca —: il rifinanziamento alle missioni lo abbiamo già votato sei mesi fa: questa é la politica del governo italiano, e in questa possono e devono riconoscersi tutti i partiti. Chi potrebbe sottrarsi dal confermare la linea così chiara e coerente che il governo ha preso?».
Insomma, non c’è spazio per sganciamenti o per libere interpretazioni degli accordi programmatici. E non c’è nemmeno la volontà di prendere in esame le subordinate a un voto compatto dell’Unione. Semmai, c’è voglia di sdrammatizzare con una battuta in salsa tutta italiana. Battuta che qualcuno, chissà, finirà per leggere maliziosamente come un avvertimento agli aspiranti leader del Pd: «Durante l’incontro — racconta sorridendo Rutelli — a Sonia Gandhi ho detto che noi lavoriamo perché ci siano tre grandi partiti democratici, quello americano, quello indiano e quello italiano. E la mia speranza, l’augurio, è che presto siano tutti e tre guidati da donne…».