RADICALI ROMA

Sanità Previdenza e privati

  Non solo pensioni. Anche se spesso la crisi del sistema previdenziale occupa tutta la scena politica, altri capitoli di spesa incidono sul debito pubblico e richiedono interventi di riforma strutturali.
 
Tra questi, il sistema sanitario, di cui si occupa un recente paper del­l’istituto di ricerca CERM (Competitività, Regolazione, Mercati) a cura di Fabio Pammolli.
 
Nel paper, presen­tato la settimana scor­sa nella Sala della Sacrestia della Came­ra dei Deputati in occa­sione del primo di una serie di workshop su welfare system e rifor­me strutturali organiz­zati da Cerm (www.cermlab.it) e W2W (www.welfare-towork.biz), vengono analizzati con abbon­danza di dati i punti di criticità del sistema sanitario nazionale, sia per quanto riguarda i costi sia per quanto riguarda la qualità dei servizi offerti, e si pro­pongono politiche concrete per la soste-nibilità e lo sviluppo del sistema.
 
Pammolli osserva che oltre a rimanere un “fattore di instabilità e incer­tezza”, esiste una “sindrome da pensioni” che “sottrae spa­zio ad altri capitoli che, in realtà, sono decisivi per la sta­bilità della finanza pubblica”. Le proiezioni di lungo termi­ne dell’incidenza sul P1L della spesa sanitaria pubblica e la sua intensa crescita non pro­grammata nell’ultimo quinquennio rendono necessarie riforme strutturali nei criteri di finanziamento e di verifica della corretta allocazione delle risorse.
 
Per le pensioni, “nel lungo periodo (2050) non si pone un problema di sostenibilità, ma di adeguatezza e di diversificazione del welfare system”. Al contrario, “la spesa sanita­ria è in crescita lenta ma costante, senza inversioni” e “l’incremento di incidenza sul PIL al 2050” potrebbe essere “doppio o più che doppio”. Ecofin e Ocse concordano nell’indicare nella spesa sanitaria “il problema di sostenibilità di lungo periodo”, anche perché “F aumento di spesa è avvenu­to e sta avvenendo nella forma di una vera e propria deriva”.
 
Una delle cause principa­li va attribuita allo “stato di incompletezza delle istituzio­ni e degli strumenti di gover­no dell’assetto federalista, per come esso si è realizzato sin qui nel nostro Paese”, dove “il decentramento delle scelte e delle responsabilità di coper­tura si è fermato a metà del guado”, determinando una confusione di responsabilità tra Stato e Regioni: “Da una parte, il finanziatore che desi­dera minimizzare le uscite, dall’altra, gli erogatori di pre­stazioni che, senza condizioni per essere pienamente respon­sabilizzati, falliscono con sistematicità i target di spesa, senza garanzie sull’efficien­za/efficacia della stessa, senza possibilità di giudicare le cause”.
 
L’utilizzo dei tetti concor­dati con lo Stato come stru­menti per il contenimento della spesa induce le Regioni a concentrarsi sul risultato contabile, meno sul funzionamento del ser­vizio, e rende difficile attri­buire la responsabilità dei disavanzi e del fallimento degli obiettivi.
 
In queste condizioni, oltre a fallire nella programmazione della spesa e a precluderci ogni possibi­lità di politiche per l’inno­vazione, “la gratuità e l’u­niversalismo diventano di “facciata”, perché i proble­mi di sostenibilità incidono sulla adeguatezza e sulla qualità delle prestazioni” sanitarie.
 
Inoltre, in Italia, la maggior parte di quanto spen­diamo di tasca nostra per la salute non rientra in fondi sanitari e polizze assicurative, strumenti ad uno stadio di sviluppo “embriona­le”. In questo modo, al di fuori di una logica di prevenzione-assi­curazione, e prescindendo dalle condizioni economico-sanitarie del singolo paziente, i costi gravano direttamente sui cittadini, sul loro reddito, e non su fondi in cui il risparmio viene investito a lungo ter­mine.
 
L’Italia sembra quindi ferma a una vecchia conce­zione di “universalismo”, incapace di individuare priorità economiche e sani­tarie e di soddisfare criteri di equità. Anche per quan­to riguarda la spesa farma­ceutica, il controllo tende a realizzarsi non ricorrendo a “meccanismi di responsa­bilizzazione individuale”, ma attraverso abbattimenti generalizzati dei prezzi e spostando l’onere della spesa sui cittadini. Mentre in Italia esiste un gruppo di farmaci gratuiti e il resto a carico del privato, nella maggior parte dei paesi Ocse eventuali esenzioni e abbattimenti vengono fis­sati in relazione alle carat­teristiche specifiche del singolo paziente.
 
Tra le proposte sugge­rite dal paper di Pammolli, la liberalizzazione dell’e­sercizio delle farmacie (“con rimozione della pian­ta organica e la separazione del diritto di proprietà da quello di gestione”), la “rimozione dei principali ostacoli alla concorrenza”, e la responsa­bilizzazione del consuma­tore nelle sue scelte, per porre “un freno struttu­rale alla dina­mica    delle quantità”. Per una “nuova politi­ca economica della sanità”, conclude Pammolli, occorre “lo sviluppo dei pilastri priva­ti previdenziali e sanitari, sia collettivi (i fondi) che indivi­duali (le polizze assi­curative)”. Sono stru­menti    importanti, come ha sottolineato anche il governatore della Banca d’Italia Draghi, che incenti­vando a organizzare il proprio risparmio a lungo termine, garan­tendo una fiscalità age-volata, raggiungono un duplice obiettivo: la sostenibilità finanzia­ria dei sistemi pensio­nistico e sanitario e una maggiore qualità/equità de!le prestazioni. Infine, il CERM propone di “far convergere in un unico strumento finanziario il fondo sanitario e quello pensionistico”, indicando i vantaggi di una gestione unica. Nella seconda parte del workshop sono intervenu­ti anche Benedetto Della Vedova (Riformatori Liberali)  e Daniele Capezzone, presidente della Commissione Atti­vità produttive (Rosa nel Pugno). Della Vedova ha osservato che sarebbe riduttivo concentrarsi su obiettivi di contenimento della spesa sanitaria. Occorre invece ripensare a temi come pensio­ni e sanità nell’ottica di un nuovo rapporto tra Stato e cit­tadino, tra Stato e mercato, per introdurre elementi di concor­renza, facendo in modo che il finanziatore del servizio non sia anche l’erogatore dello stesso, cioè lo Stato, ma l’u­tente, più capace nell’indiriz­zare il proprio denaro “pre­miando” situazioni di qualità.
 
Capezzone ha sottolineato che i tre capitoli – pensioni, sanità ed educazione – non possono più essere trattati separatamente, ma devono essere al centro di una rifles­sione sull’allargamento delle possibilità di scelte individua­li. Le strutture dovrebbero essere poste in condizione di competere per conquistarsi sul mercato le risorse necessarie alla propria sopravvivenza, in base quindi alla qualità dei ser­vizi che offrono. Anche per motivi di equità, perché le prime vittime di servizi ineffi­cienti in questi tre settori fon­damentali sono proprio i citta­dini meno abbienti.