RADICALI ROMA

Scuola, Boselli tradisce Blair

  La vorremmo di qualità, mentre Enrico Boselli ci fa sapere (Avvenimenti, 16.12.2005) che la vuole innanzitutto pubblica, intendendo per “pubblica” in realtà “statale”. Il presidente dello Sdi ha l’ardire di cominciare parafrasando — lui sostiene — Tony Blair e il suo motto “Education, education, education”. Più che a parafrasarlo riesce a tradirlo trasformandolo in “Scuola pubblica, scuola pubblica, scuola pubblica”, che è tutt’altra cosa. E tradire Blair, per una forza politica come la Rosa nel pugno, che si richiama a Blair, Fortuna e Zapatero, non è un buon inizio. Erano tutti troppo entusiasti per ciò che si stava costruendo al Congresso di Radicali italiani lo scorso novembre per rimarcare lo scivolone già allora, ma ora è possibile fermarsi a ragionare.

 

 

 

 Nella sua riforma scolastica, durata un decennio e non ancora completata, Blair si è guardato bene dal mettersi nelle mani della scuola statale concentrando su di essa tutti i finanziamenti. Non è questo che s’intende quando si dice che bisogna investire sulla formazione. Continuare a foraggiare l’attuale sistema di scuola e università senza riforme capaci di provocare una profonda ristrutturazione significa buttare soldi dalla finestra. Quindi, inutile protestare, come fa Boselli, contro i presunti tagli in finanziaria, e riproporre gli istituti statali soprattutto quando non si dice da quali voci di spesa si preleverebbero i finanziamenti ritenuti adeguati. La riforma dell’istruzione è un punto qualificante per la Rosa nel pugno. Prima di tutto, come metodo, il punto di partenza dev ‘essere la riforma Moratti. Poi, investire molto sì, ma nel contesto di una riforma blairiana che nessuno ha finora avuto il coraggio di declinare senza tradire Blair. Se l’obiettivo è la qualità della formazione, se al centro devono ritornare gli studenti e le loro famiglie, i mezzi non possono che essere concorrenza spietata e meritocrazia, proprio i due principi su cui Blair ha fondato la sua politica scolastica. Meritocrazia soprattutto nei confronti del corpo docente. Blair ha introdotto la “performance related pay”. Ai gradoni retributivi per scatti d’anzianità ha aggiunto un gradone per merito. I docenti possono integrare il loro stipendio base in modo anche molto cospicuo superando test annuali di valutazione, che non si basano su improbabili corsi d’aggiornamento appaltati ai sindacati, ma sulla conoscenza dell’attualità della materia insegnata, sulla competenza dimostrata nella scelta dei metodi pedagogici e soprattutto sui risultati degli allievi dell’insegnante in questione accertati con una rilevazione quantitativa. Quali risultati ottengono gli studenti del prof. Rossi agli esami nazionali? Se il prof. Rossi va molto male in più test viene licenziato.

 

 

 

 Blair ha inoltre aperto gli esami di maturità alla fascia di studenti compresa fra un’età di 14 e 19 anni, e introdotto classi formate non più solo sul criterio della coetaneità ma anche in base alla capacità d’apprendimento. Si badi, da non confondere con il bieco darwinismo del quoziente d’intelligenza. Concorrenza. Blair è partito dalla constatazione che l’istruzione statale non avesse speranze di essere all’altezza dei compiti che le sono affidati finché non fosse messa sotto pressione dalla competizione. Ci ha visto giusto e ha mirato a creare competizione tra istituti presi singolarmente, non secondo lo stereotipo dei due blocchi, statale contro privato. Per creare un mercato dell’istruzione in cui gli studenti e le loro famiglie fossero liberi di scegliere da consumatori. Blair ha aperto la scuola ai finanziatori privati — aziende, fondazioni, onlus, enti religiosi, anche associazioni di genitori — che hanno quindi voce in capitolo sulla gestione dell’istituto e sui programmi. Ai finanziamenti privati si aggiungono quelli statali.

 

 

 

 Lo Stato però non si accolla più l’onere della gestione, ma l’onere del controllo del rispetto di standard minimi generali. Certo, fatta la riforma, servivano i soldi per finanziarIa e per far ripartire gli istituti più degradati. Al contrario di Boselli, che non indica da dove prenderebbe i soldi che vorrebbe investiti nella scuola, Blair li ha trovati tagliando ben 80 mila posti di lavoro del pubblico impiego, risparmiando oltre un punto di Pil britannico.

 

 

 

 E’ vero, qui in Italia abbiamo un problema: il Vaticano. Oggi sono i vescovi a designare gli insegnanti di religione, rilasciando — e revocando — un certificato di idoneità in virtù di un giudizio evidentemente etico e morale, mentre è lo Stato a sobbarcarsi gli oneri della loro retribuzione. L’immissione in ruolo degli insegnanti di religione, circa 20 mila, pone l’ulteriore problema che da qui al 2008 su tre docenti assunti dalla scuola pubblica uno sarà di fatto indicato dalle gerarchie ecclesiastiche. Un fenomeno che Boselli ha efficacemente definito “cassa d’integrazione per il Vaticano”. Sono questioni che vanno risolte alla radice proprio nell’ottica di una riforma blairiana, sempre che sia Blair il nostro riferimento. In Gran Bretagna lo Stato non finanzia la Chiesa, nell’insegnamento della religione prevale un approccio “multifaith”, con priorità alle tradizioni cristiane ma non confessionale, che non ammette idoneità da parte delle autorità ecclesiastiche.Tuttavia il fatto che da noi le scuole private siano quasi tutte di proprietà di enti ecclesiastici non deve farci rinunciare a creare un sistema di istituti in competizione tra loro con finanziamenti misti e in cui lo Stato sia controllore e non più gestore.