RADICALI ROMA

Se sbatti in carcere stranieri e «fumatori»

Le carceri si riempiono. Di immigra­ti e piccoli disperati finiti nelle ma­glie «della Bossi Fini o della Giovanardi Fini». Ovvero la legge sull’im­migrazione clandestina e sulle dro­ghe. I dati elaborati dal Dap, il dipar­timento dell’amministrazione peni­tenziaria parlano chiaro: su 43.957 detenuti più del trenta per cento, pari a 15.658 sono stranieri. Se è ve­ro, infatti, che la percentuale di chi sconta una pena dietro le sbarre per aver violato la legge sull’immigra­zione è bassa (si parla dell’1,1 per cento della popolazione reclusa) è anche vero che a questo dato è necessario aggiungere quello relativo agli ingressi. Ossia i numeri di colo­ro che finiscono in galera. In questo caso, dei 45.810 ingressi il 48 per cento, pari a 21.888 sono stranieri. «È chiaro che esaminando questi dati si può capire come incida il fe­nomeno immigrazione – spiega Ste­fano Anastasia, consulente del Mi­nistero della Giustizia – non fosse al­tro perché la violazione della legge sull’immigrazione ha un tempo di permanenza in carcere limitatissimo». A far crescere la popolazione carceraria ci sono anche gli effetti della legge sulle droghe. I dati del ministero dicono che il 15,1 per cento dei detenuti, pari quindi a quasi settemila persone scontano una pena per aver violato la legge sulle droghe. «Si corre il rischio che nell’arco di tre anni si arrivi alla si­tuazione di prima, sovraffollamen­to e disperazione – dice Patrizio Gonnella, presidente di Antigone -per questo motivo è necessario can­cellare la Bossi Fini; poi, invece di costruire nuove carceri, sarebbe op­portuno pensare a pene alternati­ve». Riccardo Arena, conduttore della trasmissione Radio Carcere su radio radicale e fautore del sito www.radiocarcere.com non ha dub­bi: «È necessario garantire un’effi­cienza del processo penale e poi pensare alle pene alternative». Giu­sto per evitare che, nell’arco di tre anni, dietro le sbarre ci finiscano al­tre 36mila persone. «Per uscire da questa situazione bisogna semplicemente applicare il programma del­l’Unione sulla Giustizia e sulle carce­ri – dice Fabrizio Rossetti, responsa­bile carceri della Funzione pubblica della Cgil -: ossia riformare il codice penale, cancellare le cosiddette leg­gi vergogna del Governo Berlusco­ni, la legge sulla recidiva (l’ex Cirielli), quella sull’immigrazione, e quel­la sulle droghe, introdurre sanzioni penale diverse dal carcere per i reati di lieve entità e di minor allarme so­ciale». Posizione condivisa anche da Michele Schirò, avvocato penali­sta. «Sia chiaro che chi sbaglia è giu­sto che paghi – premette – ma le mo­dalità attuali non vanno bene ed è antistorico pensare per tutti i reati al carcere». Per il penalista la strada da seguire, è quella delle «misure al­ternative alla detenzione per alcuni reati, e inoltre l’introduzione di nuove norme sanzionatone alterna­tive al carcere». Un esempio? «Pen­so al ricorso agli affidamenti ai servi­zi sociali che possano portare a espiare le pene alternativamente al carcere. Non comunità di recupero ma luoghi dove chi deve espiare la pena possa andare a lavorare». Un circuito quindi che dovrebbe inclu­dere poi anche il versante immigra­zione. «È necessario costruire un percorso chiaro che poi a includere e non a escludere».