RADICALI ROMA

Separazione fra Stato e Chiesa: esempi americani

Sulla Stampa del 9 luglio, nella rubrica curata da Lucia Annunziata, a proposito della linea dura del Vaticano che ha annunciato la «scomunica» per chi pratica l’aborto, ma anche per gli scienziati che fanno sperimentazioni sulle cellule embrionali, ho letto un passaggio del discorso che John F. Kennedy pronunciò davanti alla Ministerial Association di Houston il 12 settembre 1960: «Io credo in un’America dove la separazione tra Chiesa e Stato sia assoluta; dove nessun prelato cattolico dica al presidente (anche se è cattolico) come agire, e nessun ministro protestante dica ai suoi parrocchiani come votare; dove nessuna Chiesa o scuola confessionale abbia finanziamenti pubblici o preferenze politiche.(…) Io credo in un’America che sia ufficialmente né cattolica, né protestante, né ebraica; dove nessun pubblico funzionario richieda o accetti direttive sugli affari pubblici dal Papa, dal Consiglio nazionale delle Chiese o da qualsiasi altra fonte ecclesiastica; dove nessun ente religioso cerchi di imporre, direttamente o indirettamente, la sua volontà sulla popolazione o sugli atti pubblici dei suoi rappresentanti». Non le sembra un buon modo per regolare la separazione fra Stato e Chiesa?
Francesco Venturi, Torino


Risponde Sergio Romano:

Caro Venturi, il discorso di cui lei ha citato un passaggio fu pronunciato da Kennedy durante la campagna elettorale per le presidenziali del 1960, due mesi prima del voto. Kennedy era cattolico, di origine irlandese, e la sua candidatura aveva suscitato molta diffidenza negli ambienti tradizionalmente protestanti, gli stessi che riuscirono a impedire, sino alla presidenza Reagan, la nomina di un ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede. Con quelle parole voleva assicurare una parte dell’elettorato americano che non avrebbe ceduto alle pressioni della Chiesa cattolica e alla tentazione di favorirne gli interessi. Per raggiungere lo scopo ribadì fermamente il principio della separazione fra lo Stato e la Chiesa contenuto nelle «clausole religiose» del primo emendamento alla Costituzione americana. Separazione, secondo i criteri fissati dagli autori di quell’emendamento, significa anzitutto che lo Stato si asterrà dal promuovere l’istituzione di una Chiesa «established», vale a dire ufficiale, statale, riconosciuta dalla legge e quindi finanziata, in un modo o nell’altro, dal contribuente. In un’epoca in cui la Chiesa anglicana aveva al suo vertice il sovrano britannico, le Chiese luterane dei Paesi protestanti esercitavano funzioni pubbliche e la Chiesa diRoma conferiva ai re cattolici il crisma del potere, quelle norme furono certamente rivoluzionarie. Credo che gli Stati Uniti, nonostante la fede evangelica pubblicamente ostentata dal suo presidente, resti sostanzialmente fedele ai principi dei suoi costituenti.Ma nella prassi dei rapporti fra Stato e Chiesa sono intervenuti in questi ultimi anni alcuni interessanti cambiamenti. Il primo di essi concerne i finanziamenti dello Stato alle scuole confessionali. Come appare evidente dal discorso di Kennedy, la dottrina separatista, in quegli anni, era risolutamente contraria. Ma da qualche tempo l’America ha adottato una linea più flessibile. La materia è trattata da Adelaide Madera in un articolo sui simboli religiosi nell’ordinamento statunitense, apparso in un volume dell’editore Giuffré («I simboli religiosi tra diritto e culture», a cura di Edoardo Dieni, Alessandro Ferrari e Vincenzo Bacillo). Secondo l’autrice dell’articolo «la più recente giurisprudenza della Corte Suprema (…) ha manifestato atteggiamenti di maggiore apertura nei confronti delle istanze delle organizzazioni di emanazione confessionale, di accedere a forme di finanziamento pubblico, su un piano di parità rispetto ad organizzazioni secolari». Anche in America, come in Italia, si è affermata la convinzione che le scuole private svolgano una funzione pubblica e che gli aiuti statali, a determinate condizioni, siano giustificate. Il problema più discusso e controverso della società americana in materia di rapporti fra Stato e Chiesa è oggi quello dei simboli religiosi. La questione è nata quando alcuni gruppi confessionali, soprattutto evangelici, hanno cominciato a pretendere che i Dieci Comandamenti, sotto forma di targhe in bronzo o in marmo, venissero esibiti nelle scuole pubbliche, negli uffici pubblici, nelle sedi dei tribunali. Nel 1980, come ricorda Adelaide Madera, la Corte Suprema ritenne costituzionalmente illegittima una legge del Kentucky che prevedeva l’affissione di una copia dei Dieci Comandamenti sui muri di ciascuna classe delle scuole primarie e secondarie. Più recentemente, tuttavia, la giurisprudenza è diventata, anche in questo caso, più flessibile. Oggi la Corte ritiene che occorra rispettare, insieme al principio della separazione, anche quello della libertà individuale di espressione in un luogo pubblico. Secondo Madera si affermerebbe quindi in America il principio secondo cui «la neutralità statale è salvaguardata qualora, in luoghi pubblici o aperti al pubblico, si determini, dietro iniziativa di soggetti privati, una compresenza di simboli religiosi e profani (…) ed eventuali limiti possono essere imposti solo in presenza di un interesse statale superiore». In altre parole esistono oggi, in materia di simboli religiosi, due tendenze: quella francese, secondo cui tutti i simboli sono proibiti nei luoghi pubblici, e quella americana, secondo cui la pluralità, se desiderata dai cittadini, è permessa. L’Italia, per ora, sembra rifiutare ambedue le tendenze.