RADICALI ROMA

Soffriva da tempo, un suicidio a Rebibbia

L’ibndulto non è stato altro che un pannicello caldo sulle disastraate condizioni nella quali versa la maggior parte degli istituti di pena italiani. Stanotte infatti, nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso a Roma, Giampiero M., un detenuto di 56 anni, si è impiccato con la cinta di un accappatoio legata alle sbarre di una finestra del bagno del braccio G14, l’infermeria. Il cadavere dell’uomo e’ stato trovato alle 4.29,subito e’ stato allertato il 113 e sono intervenuti gli agenti del commissariato San Basilio ma per la vittima non c’è stato nulla da fare. La salma e’ stata messa a disposizione dell’autorita’ giudiziaria. Sulla vicenda è intervenuto con toni decisi, quasi accusatori, il garaante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni.

”Da tempo Giampiero dove essere da tutt’altra parte. Avrebbe potuto godere di misure alternative alla detenzione, ma non aveva un posto dove andare. Abbiamo segnalato piu’ volte il suo caso, ricevendo solo risposte
burocratiche, silenzio e indifferenza”, ha denunciato Marroni, che specifica: “Ha atteso il cuore della notte, quando tutti dormivano per impiccarsi all’interno di un bagno. Sulla sua cartella clinica venivano dichiarate diverse patologie tra cui cardiopatia dilatativa, gastrectomia, parkinsinismo, il tutto dovuto alla sua storia di alcolista e tossicodipendente”. Una morte che poteva e doveva essere evitata, ha affermato in sostanza il garante. “Tutto questo determinava il fatto che la sua eta’ biologica era di gran lunga superiore a quella anagrafica – ha sottolineato – Sono indignato per il modo prevedibile ma assolutamente evitabile in cui si e’ chiusa questa tristissima vicenda. Occorre agire affinche’ non si ripetano piu’ casi di questo genere considerando che esistono, e sono stati da me segnalati, altri detenuti che si trovano insimili condizioni” .

A quanto risulta all’Ufficio del Garante l’uomo era recluso dal 2000, con fine pena 2010, per reati connessi alla droga e per lungo tempo ricoverato nei centri clinici delle carceri dove era stato ristretto. L’uomo non aveva famiglia ed era nullatenente. Avrebbe potuto godere di misure alternative alla detenzione ma non avendo un posto dove andare era rimasto sempre in carcere. Il suo caso era da tempo seguito dallo staff di Marroni, che aveva avviato le pratiche per fargli avere la carta di identita’, necessaria per ottenere una pensione sociale e si
era impegnato, cercando di coinvolgere le istituzioni preposte, nell’individuare una soluzione per consentire al detenuto di scontare il residuo della sua pena in case di accoglienza o in strutture adeguate a questo tipo di problematiche. ”Sono triste e indignato per il modo, assolutamente evitabile, in cui si e’ conclusa questa vicenda – ha insistito ancora Marroni – Abbiamo piu’ volte segnalato la drammaticita’ di questo caso ma in cambio abbiamo ricevuto solo risposte burocratiche, o, peggio ancora, indifferenza. Non posso fare a meno di notare che per un detenuto comune come Giampiero non c’e’ stato nessun eco mediatica, nonostante le nostre sollecitazioni ai mezzi di informazione. Purtroppo, Giampiero, ha pagato il fatto di non essere un detenuto eccellente e di non godere di una notorieta’ che forse gli avrebbe salvato la vita”.