«Sì, sono stato io a staccare la spina a Piergiorgio Welby». All’inizio nessuno l’aveva neanche notato Mario Riccio, l’anestesista che ha spento il ventilatore polmonare che teneva in vita il sessantunenne ammalato di distrofia muscolare, mercoledì notte, e che ieri mattina è venuto a “costituirsi” nella sala stampa di Montecitorio. Era l’ultimo della fila dello stato maggiore radicale, seduto di fianco alla neo segretaria Rita Bernardini. È stato Marco Cappato, il presidente dell’associazione Luca Coscioni ad accendere i riflettori su di lui, quando di passaggio ha detto: «Sarà il dottor Riccio a spiegare com’è stata realizzata la volontà di Piergiorgio».A quel punto si è capito che è stato proprio lui l’esecutore materiale della morte, che ha confermato con dovizia di dettagli le parole di Cappato: «Io sono componente della Consulta bioetica onlus», ha subito premesso. «Sono stato in contatto con l’associazione Luca Coscioni» ha aggiunto precisando che «prima mi sono proposto io, poi è stato Cappato a chiedere la mia disponibilità a realizzare la volontà di Piergiorgio Welby. Io non vedevo ostacoli, ritenendolo un diritto riconosciuto e ampiamente praticato, pertanto mi sono reso disponibile. Con Cappato abbiamo preparato tutto», rivela, «eravamo pronti a partire non appena Piergiorgio lo avesse richiesto». Riccio conosceva Welby solo da due giorni. «L’ho incontrato per la prima volta lunedì», confessa ai giornalisti, «il suo caso mi era noto, avevo letto i suoi libri, ma prima di allora non lo avevo mai visto di persona. Abbiamo avuto un lungo coloquio», durante il quale «mi ha confermato la sua ferma volontà che venisse interrotta la terapia ventilatoria». Condizione sufficiente per porre fine alla vita di un uomo, secondo Riccio, che come i Radicali, ritiene che “staccare la spina” rientri nella legalità e non contrasti con il codice deontologico dei medici. E la morte diventa quasi una minuzia nel racconto dell’anestesista: «Superati alcuni dettagli tecnici, ieri sera (mercoledì, ndr), come Piergiorgio aveva chiesto, è stata interrotta la terapia». Su esplicita richiesta dei giornalisti, il medico poi torna su quei dettagli tecnici: «Abbiamo concordato con Welby che la sedazione iniziasse contestualmente al distacco del ventilatore». Riccio infatti escludeva di sedare il paziente dopo aver spento la macchina, perché «gli avrebbe provocato sofferenza, anche se solo per qualche minuto», spiega. Fosse dipeso dal medico, lo avrebbe sedato prima, «ma Piergiorgio ha espresso il desiderio di restare il più possibile vigile accanto ai suoi cari». Ad ogni passaggio della sua ricostruzione, Riccio tiene a sottolineare che tutto è stato compiuto su precisa indicazione di Welby. Compreso il modo di sedazione: «Gli abbiamo chiesto cosa preferiva e lui aveva espresso il desiderio di essere sedato oralmente, ma per bocca risultava complicato essendo il suo corpo estremamente debilitato, quindi ha accettato la sedazione per via venosa, che è proseguita per 40 minuti». E alle 23,40, secondo il racconto del medico è avvenuto il decesso.
Ma lui dice di non sentirsi un boia: «Spero che nessuno mi definisca così», replica su domanda esplicita di un cronista. «Sono molto sereno, non ritengo di aver fatto una cosa illegale, perché sono convinto di aver agito secondo un giusto percorso giuridico, etico, medico e legale», assicura Riccio, che si appella a diverse sentenze del tribunale di Roma e della Cassazione che rivendicano il diritto di scelta di sospensione della cura e alla Convenzione di Oviedo, che richiede il libero consenso alle terapie, ma non è stata recepita dalla legislazione italiana. Il medico confessa anche che questa non è la sua “prima volta”: «L’ho già fatto, la programmazione delle cure, compresa la loro interruzione, avviene quotidianamente nei reparti di terapia intensiva, d’accordo con i parenti». Ma una cosa è certa per il medico che ha posto fine alla vita di Piergiorgio Welby: «Questa non è eutanasia. Qui siamo di fronte a un caso di rifiuto e non di interruzione di una cura, che è lontano anni dal caso Welby».