RADICALI ROMA

Spesi 16 mila euro, incassati tre milioni I partiti e il business dei rimborsi elettorali

II radiotelegrafista Fatuzzo Carlo, giun­to alla veneranda età di 43 anni, intercettò sulle onde elettromagnetiche un’ispirazio­ne: datti alla politica. Detto fatto, fondò il partito dei pensionati. Il più redditizio del mondo. Basti dire che nella campagna per le ultime europee investì 16.435 euro otte­nendo un rimborso centottanta volte più alto: quasi tre milioni. Un affare mai visto neanche nelle fiammate borsistiche della corsa all’oro di internet. Eppure, il suo è solo il caso più plateale. Perché, fatta ecce­zione per i radicali, quei rimborsi sono sempre spropositati rispetto alle somme realmente spese. E dimostrano in modo abbagliante come i partiti, negli ultimi an­ni, abbiano davvero esagerato.

 

 

 

Il referendum del 18 aprile ’93 era stato chiarissimo: il 90,3% delle persone voleva abolire il finanziamento pubblico dei parti­ti. Giuliano Amato, a capo del governo, ne aveva preso atto con parole nette: «Cer­chiamo di essere consapevoli: l’abolizione del finanziamento statale non è fine a se stessa, esprime qualcosa di più, il ripudio del partito parificato agli organi pubblici e collocato tra essi». Certo, il voto era sta­to influenzato dal vento impetuoso della rivolta morale contro gli abusi della Prima Repubblica, travolta da mille scandali. E magari è vero che conteneva una certa do­se di antiparlamentarismo, trascinato da mugghianti mandrie di torelli giustizialisti che presto si sarebbero trasformati in pensosi bovi garantisti. Di più: forse era solo una illusione velleitaria l’idea che una democrazia comples­sa potesse reggersi sulla forza di partiti dalle opinioni forti e dai corpi leggeri co­me piume.

 

 

 

Ma anche chi da an­ni teorizza la necessi­tà che la società si fac­cia carico di mantenere i partiti quali stru­menti di democrazia, dovrà ammettere che la deriva fa spavento. Ve lo ricordate perché nacquero, i rimborsi elettorali? Per aggirare, senza dar nell’occhio, quel re­ferendum del ’93. E sulle prime l’obolo im­posto era contenuto: 800 lire per ogni cit­tadino residente e per ognuna delle due Camere. Totale: 1.600 lire. Pari, fatta la ta­ra all’inflazione, a un euro e 10 centesimi di oggi. Erano troppo pochi? Può darsi. Certo è che, via via che l’ondata del bien­nio ’92/’93 si quietava nella risacca, i parti­ti si sono ripresi tutto. Diventando sempre più ingordi. Fino a divorare oggi, nelle sole elezioni politiche, dieci volte più di dieci anni fa.

 

 

 

Eppure, la prima svolta sembrò già esa­gerata. Era il 1999. L’idea transitoria del 4 per mille (volontario) sul quale i partiti prendevano degli anticipi, si era rivelata un fallimento. A marzo, con un pezzo del­la destra che denunciava l’ingordigia dei «rossi», passarono l’abolizione delle agevo­lazioni postali in campagna elettorale e l’eliminazione dell’anticipo: i partiti avreb­bero dovuto restituire in 5 anni, nella mi­sura del 20% annuo del totale, le somme «eventualmente ricevute in eccesso». Mac­ché. Non solo la restituzione fu svuotata dalla scelta di non varare mai (mai) il de­creto di conguaglio. Ma due mesi dopo, col voto favorevole d’una maggioranza lar­ghissima e il plauso anche della Lega («Questa legge ci avvicina all’Europa», dis­se Maurizio Balocchi, coordinatore dei te­sorieri dei partiti) passò un ritocco assai vistoso: da 800 a 4.000 lire per ogni eletto­re e per ogni camera alle Politiche. Più rim­borsi analoghi per le Europee e le Regiona­li. Più un forfait, volta per volta, per le ele­zioni amministrative.

 

 

 

Una grandinata di soldi mai vista prima. Che avrebbe portato nel 2001 le forze poli­tiche a incassare in rimborsi oltre 165 mi­liardi di lire, pari a 92.814.915 euro. Una somma enorme. Eppure l’anno dopo, a maggioranza parlamentare ribaltata, men­tre invitavano gli italiani a tenere duro per­ché dopo l’11 settembre i cieli erano fo­schi, i partiti erano ancora lì, più affamati di prima. Ricordate le risse di quel 2002? La destra irrideva agli anni del consociativismo cantando le virtù della nuova era do­ve mai i suoi voti sarebbero stati mischiati a quelli «comunisti». La sinistra barriva nelle piazze che mai si sarebbe lasciata in­fettare da un accordo con l’orrida destra.

 

 

 

Finché presentarono insieme una leggina, firmata praticamente da un rappresentan­te di ciascun partito perché nessuno gri­dasse allo scandalo (Deodato, Ballaman, Giovanni Bianchi, Biondi, Buontempo, Colucci, Alberta De Simone, Luciano Dussin, Fiori, Manzini, Mastella, Mazzocchi, Mus­si, Pistone, Rotondi, Tarditi, Trupia, Valpiana) che portava i rimborsi addirittura a 5 euro per ogni iscritto alle liste elettorali e per ciascuna delle due Camere.

 

 

 

Una scelta discutibile con l’aggiunta di una indecente furberia: anche il calcolo dei rimborsi per il Senato andava fatto sul­la base degli elettori della Camera. I quali sono, senza calcolare gli italiani all’estero, 47.160.244. Contro i 43.062.020 degli aventi diritto a votare per Palazzo Madama: 4.098.224 in meno. Risultato: si sono acca­parrati, solo quest’anno, con quel trucchetto, 20.491.120 euro in più. Il triplo, per dare un’idea, di quanto è costata a Padova la «Città della speranza» che grazie alla ge­nerosità dei benefattori privati riesce a svolgere il ruolo di Centro diagnostico nazionale a disposizione di tutti gli ospedali italiani per l’individuazione e la cura delle leucemie infantili. O, se volete, quanto è stato investito in dieci anni nella ricerca dal centro patavino.

 

 

 

Totale dei rimborsi elettorali per il 2006: 200.819.044 euro. Una montagna di denaro destinata l’anno prossi­mo, dice la Finanzia­ria, a crescere ancora di altri 3 milioni e mez­zo di euro. Confronti: i partiti assorbono oggi oltre il doppio (quasi 201 milioni contro qua­si 93) di quanto assorbi­vano cinque anni fa. Il balzello è passato dal 1993 ad oggi, con l’appoggio, la complicità o il tacito consenso di tutti (salvo le eccezio­ni di cui dicevamo e un po’ di distinguo) da 1,1 a 10 euro per ogni citta­dino. E ogni ciclo elet­torale (politiche, regio­nali, europee, ammini­strative…) ci costa or­mai un miliardo di eu­ro a lustro.

 

 

 

Per carità, qualcuno cui tutto questo sem­bra abnorme, c’è. Lo si è visto anche ieri con la richiesta di nuove rego­le di Cesare Salvi, Mas­simo Villone e Valdo Spini. I quali hanno ri­lanciato in parte anche le proposte di Silvana Mura, la tesoriera del­l’Italia dei Valori che ha presentato due emendamenti alla Fi­nanziaria per limitare i rimborsi almeno al calcolo di chi è andato a votare e abrogare una leggina approvata dal precedente parlamen­to che stabilisce lo scandaloso principio in base al quale i rim­borsi elettorali (eroga­ti in tranche annuali) sono dovuti anche nel caso di scioglimento anticipato delle Camere.

 

 

 

Scelte di pura decen­za, eppure devastanti. Lo dice il confronto fra le somme spese effetti­vamente per le campa­gne elettorali, e accer­tate da un’indagine della Corte dei Conti (l’unico che ci permette di compilare tabel­le omogenee) sulle Europee del 1999 e del 2004. La differenza, come si nota, è scanda­losamente enorme. E non solo per il Partito dei pensionati, che già nel ’99 aveva rice­vuto 76 volte ciò che aveva speso. Basti ve­dere il guadagno della Fiamma Tricolore (che ha incassato 81 volte di più), di Rifon­dazione (13 volte di più), dei Comunisti Italiani (12 volte di più), dell’Ulivo (7,8 vol­te di più), di Alessandra Mussolini (6 volte di più), della Lega (5,9 volte di più) ma an­che dei grandi partiti. Totale delle spese accertate: 88 milioni di euro. Totale dei rimborsi: 249. Quasi il triplo.