RADICALI ROMA

Staminali, nuove speranze

ROMA – Scienziati australiani hanno annunciato ieri che le cellule staminali adulte dell’utero possono essere usate per coltivare tessuto osseo, muscolare, adiposo e cartilagineo. Due giorni fa l’immunologo Sergio Romagnani dell’università di Firenze aveva individuato nel sangue una nuova linea di staminali, facili da prelevare e potenzialmente capaci di riparare i danni dell’ischemia cardiaca. Il quindici luglio un’équipe napoletana aveva provato a tradurre l’idea nella pratica. La loro strategia: iniettare in un’arteria coronarica occlusa le “cellule del tesoro” per tentare di tonificare un cuore colpito da infarto. E alla vigilia di questo esperimento, per concludere il bilancio di un’unica settimana, l’Istituto scientifico San Raffaele di Milano aveva pubblicato su Science i risultati di una ricerca innovativa: un gruppo di cellule staminali iniettate nelle vene di un topo ha saputo riconoscere da solo la presenza di un’area infiammata nel cervello. Si è diretto verso la testa e ha iniziato le operazioni di riparazione, in tutta autonomia.

La ricerca sulle staminali è una macchina lanciata a tutta velocità. E che procede a trecentosessanta gradi. L’aspetto meraviglioso di queste cellule in fondo è proprio la possibilità trasformarsi da un tipo di tessuto all’altro. Nell’agenda dei ricercatori ci sono obiettivi disparati come la cura del Parkinson’s e delle lesioni del midollo spinale, del diabete e della sclerosi multipla, dello scompenso cardiaco così come di alcune malattie del sistema immunitario. Nonostante i problemi etici e le leggi che in molti paesi limitano l’utilizzo delle staminali ricavate dagli embrioni (Stati Uniti in testa) i laboratori di ricerca hanno imboccato la fase della maturità, quella che segue l’ebbrezza iniziale, e ora ricercano metodicamente nuove tecniche per isolare, purificare e amplificare (cioè far crescere di numero) le cellule staminali che si trovano nel nostro corpo. Agli scienziati “da laboratorio” non mancano le soddisfazioni. E’ accanto al letto del paziente che molti frutti del lavoro di ricerca rimangono da raccogliere. E proprio per spingere ancora di più sul pedale dell’acceleratore una settimana fa l’attore americano Michael J. Fox – malato di Parkinson’s – ha chiesto al presidente George W. Bush di togliere il freno dalla ricerca sulle staminali embrionali.

La corsa per il raggiungimento degli obiettivi vede il pianeta diviso in due, con i paesi dotatisi di norme rigide (gli Stati Uniti e molti paesi europei) da un lato e il mondo della deregulation, che ha il suo perno nella Cina e nel sud-est asiatico, dall’altro. Non è un caso che proprio dalla Corea del Sud, nello scorso maggio, arrivò la notizia del primo esperimento di clonazione a scopo terapeutico: con le cellule prelevate da nove pazienti affetti da lesioni del midollo spinale, diabete o immuniodeficienza erano stati clonati altrettanti embrioni. Da queste vere e proprie miniere di staminali ci si proporrà un giorno di prelevare le cellule che saranno iniettate negli stessi pazienti per curarne le malattie, senza alcun problema di rigetto. Le aspettative sono tali che anche il navigatore Ambrogio Fogar, che vive da tredici anni immobilizzato a causa di un incidente, ha annunciato la propria volontà di farsi curare in Cina, dove la mancanza di leggi restrittive consente un passo più rapido alla ricerca sulle staminali embrionali. Fogar rese pubblica la sua intenzione trascurando i consigli di tutti i suoi medici, secondo cui le tecniche cinesi mancherebbero di rigore scientifico.
Al fronte dei prudenti non mancano le ragioni per mettere in guardia chi vorrebbe correre: proprio per la loro inesauribile capacità di riprodursi, le staminali potrebbero essere legate allo sviluppo dei tumori. L’Istituto europeo di oncologia di Milano ha deciso di investire le sue risorse nella caccia delle “staminali cattive”, le madri di tutte le cellule tumorali senza le quali le metastasi non potrebbero prodursi. Un altro invito alla riflessione arriva dall’Accademia nazionale delle scienze americana, spaventata dalle sperimentazioni che prevedono l’impianto di staminali neuronali umane nel cervello delle scimmie. “I nostri cervelli siamo noi stessi. E’ il cervello ciò che ci rende umani” ha messo in guardia Hank Greely sull’ultimo numero della rivista Science. E i nostri neuroni potrebbero trasferire qualità umane nelle scimmie. Ipotesi che spingono alla cautela, di fronte a quei Dottor Jekyll e Mister Hyde della scienza che sono le cosiddette “cellule bambine”.