RADICALI ROMA

Stati generali anti-legge 40 Pronta una pioggia di ricorsi

  «Il nostro proble­ma non è scegliere tra un fi­glio sano e l’altro malato. Il no­stro problema è scegliere tra un figlio vivo e un figlio mor­to», dice Francesco, 35 anni, si­racusano come la moglie Gra­zia. Ieri erano a Villa Gussio Nicoletti, vicino a Erma, per unir­si alle mille voci di coppie rese infelici dalla legge sulla procre­azione medicalmente assistita e dalle sue rigorosissime linee guida applicative. Grazia e Francesco non hanno alternati­va. A causa di un’anomalia ge­netica della donna (traslocazio­ne cromosomica robertsoniana), anomalia che nel 75 per cento delle gravidanze porta ad un aborto entro il terzo me­se. In due anni, da quando pro­vano ad allargare la famiglia, a loro è successo tre volte: «So­no arrivata appena a sentire il battito di uno dei tre bambini e poi più nulla», racconta lei. Ora andranno in Turchia per provare con la diagnosi preim­pianto degli embrioni, tecnica vietata in Italia. Ma non rinun­ciano a tentare anche attraver­so una seconda strada. Un ri­corso contro le linee guida. Due tribunali, a Cagliari e Fi­renze, hanno dato ragione a co­niugi con malattie genetiche. Ed è proprio a Villa Gussio, dove l’associazione Hera ha organizzato una sorta di stati generali dei pazienti, è stata dichiarata guerra alla legge 40. Guerra di iniziative legali. «Sono già pronti almeno 50 ri­corsi in diversi tribunali, pro­cederemo d’urgenza in base all’ex articolo 700», — li con­ta Maria Paola Costantini, av­vocato di Cittadinanza attiva, che ha preparato un vademecum giurisprudenziale per i genitori.

 

 

 

Il pacchetto di iniziative contenute nel documento ap­provato ieri, sotto il coordina­mento del ginecologo Nino Guglielmino, comprende altri tipi di controffensive, come la richiesta di risarcimento per danni psicologici e fisici da parte di donne che hanno avuto tre gemelli in conseguenza di una delle norme (obbligo di impiantare tutti gli embrio­ni fecondati). I genitori che per superare gli ostacoli del­l’Italia hanno preso la via dei centri esteri, soprattutto Spa­gna e Turchia, cercheranno in­vece di ottenere dalle Asl il rimborso delle cure. «Inten­diamo procedere con un ap­pello per la promozione di azioni legali su tutto il territo­rio nazionale. Le associazioni mettono a disposizione un col­legio di difesa». Escluso inve­ce il ricorso alla class action. Si è visto che non può essere applicata a questi casi. I pro­blemi della migrazione sono evidenti anche in Italia. Le coppie si muovono dal Sud al Nord, più organizzato per nu­mero di strutture pubbliche di fecondazione assistita. Lo scorso anno in Lombardia so­no stati effettuati quasi il dop­pio dei cicli rispetto della Sici­lia. Ciò comporta tra l’altro una spesa maggiorata per la regione di origine dei pazien­ti, che deve provvedere ai rim­borsi.

 

 

 

«Non vogliamo tornare in Turchia — incalza dal pubblico Miriam —. Ma ci costringo­no a farlo. Pendiamo dalle lab­bra di chi deve decidere se ria­prire le porte alla diagnosi del­l’embrione. Stiamo aspettan­do che da noi cambi qualcosa. All’estero abbiamo provato già una volta con la tecnica della selezione, è stata oltre che inutile molto impegnativa dal punto di vista psicologico. Mio marito ha una grave ma­lattia ereditaria agli occhi, non possiamo rischiare che l’abbiano i nostri figli».

 

 

 

La modifica delle linee gui­da è stata annunciata dal mini­stro Livia Turco come immi­nente. Ma i tempi continuano a slittare. Potrebbe essere am-morbidito il divieto di diagno­si pre impianto, tra l’altro non contenuto nella legge ma ag­giunto dalla commissione che sotto il governo Berlusconi la­vorò al documento. Giovedì alcune parlamentari tra cui Katya Zanotti, Daniela Dioguardi e Donatella Poretti chiederan­no al ministro in un question rime quando intende presenta­re le eventuali modifiche e se, nel formularle, ha tenuto con­to delle due sentenze di Caglia­ri e Firenze che hanno dato ra­gione ai cittadini.