RADICALI ROMA

Stato laicale

Un laico è sempre attento al tema dello stato, l’istituzione stato che – piaccia o no – è la cornice entro la quale si muove il singolo (l’individuo? il soggetto?) uscito dalla condizione tribale, dove era assoggettato agli oscuri riti del clan e del sangue. Il tema dello stato è centrale già nel pensiero greco: il suo fondamento epistemologico va ritrovato nei saggi di Platone e di Aristotole, quello antropologico, credo, nella dialettica etica dell’Antigone sofoclea: se questo nocciolo viene poi fecondato dal personalismo cristiano, si capisce perché così problematico, drammatico, pieno di aporie sia stato, e ancora sia, il rapporto che lega l’uomo alla legge dello stato: un rapporto che è il primo distintivo, per chi ami rivendicarla, della civiltà occidentale.

 Uscito dall’orizzonte dell’assolutismo, che vedeva nel sovrano l’unto del Signore, lo stato moderno è stato ridotto allo stato laicale. Non vi è però dubbio che anche in tale nuova condizione lo stato è stato ingiustificatamente assolutizzato, così da essere trasformato e innalzato a stato etico e dittatoriale. Oggi lo stato versa in cattiva salute, e non solo per la ricorrente insidia assolutista o le deformazioni eticiste: deve subire anche gli attacchi di coloro che vorrebbero sminuirne il senso o abolirlo del tutto. C’è chi invoca “più società civile e meno stato”, altri addirittura lo liquidano a favore di un’entità non meno assolutizzata, il mercato. I fautori del “più società, meno stato” preconizzano il regresso, se non al tribalismo, a una condizione libanese, i giacobini del mercato e gli anarcocapitalisti si sforzano di andare oltre all’idea stessa di stato, paradossalmente giungendo alle stesse conclusioni del marxismo (quello di Karl Marx, non la deformazione leninista) che voleva abbattere lo stato per sostituirvi il regno della libertà assoluta, nel quale ciascuno abbia, per natura e non per legge, ciò che gli compete.

 Niente appigli ai delegittimatori
 
Rileggo queste righe, e vedo di non aver mai usato, per la parola “stato”, l’iniziale maiuscola, come avrei preferito. Non è colpa mia. Ho dovuto tener conto del secco, anche se cordiale e amichevole, rimbrotto fattomi un paio di settimane fa sulle pagine di questo giornale quando avevo avanzato perplessità e avvisato circa i rischi in cui si incorreva usando, come è loro abitudine, l’iniziale minuscola indifferentemente per i due significati. Così si crea, a mio avviso, una inguardabile confusione tra lo stato/istituzione e la forma verbale dal suono corrispondente. Ero stato anche ripreso, sia pur sorridendo, per aver portato a ironico esempio di tale confusione quella che si può ingenerare tra espressioni quali “Stato della Chiesa” e “ stato della Chiesa”. Ma no, lungi da me ogni intenzione ironica, quell’esempio mi era venuto per puro caso, spontaneamente. Spazzati via questi piccoli equivoci, mi pare tuttavia doveroso insistere nel raccomandare l’uso della maiuscola trattando dello stato/istituzione. Scrivere il nome della istituzione statuale con la maiuscola è regola del tutto neutra, dettata dal solo buon senso e dalla grammatica. Rifiutarsi, invece, mi pare cosa poco laica, avverto lì il piegarsi a una pulsione subliminale, a una sorda furia ideologica, fors’anche un insidioso tic. Un po’ come se si volesse rifare, oggi, i surrealisti o i futuristi, vogliosi di mettere a soqquadro il mondo infrangendo, appunto, le regole grammaticali con stralunate poesie visive o erratici alfabeti, alla Soffici e Severini. Alla fine, però, anche al di là del buon senso e dell’ortografia, è sempre bene non dare appigli a delegittimare lo Stato, se si vuole avere le carte in regola per prendere le difese del laico Stato di diritto contro i mai dismessi assalti dello statalismo etico o di un avventuroso mercatismo. Potremmo averne un urgente bisogno, in questi tempi poveri di legittimità: lo Stato di diritto è garanzia per tutti, basta dare a Cesare quel che è di Cesare e lui ti garantirà la proprietà privata da investire nel mercato. E soprattutto: come si fa a scrivere Stato con la minuscola e insieme appoggiare un Sarkozy, il naturale, consapevole erede della concezione, tipicamente francese, dell’“Etat c’est moi”?