RADICALI ROMA

Tensione ucraina, ma non sarà una nuova Crimea

di Alessandro Crisci

Il riaccendersi della questione ucraina – mai veramente sopita dall’annessione unilaterale russa della Crimea e dalla guerra nel Donbass – ha scatenato le paure di molti nel vedere scoppiare un vero e proprio scontro bellico alle porte dell’Europa ((La crisi politica e militare divampata in Ucraina nel 2014 rappresentò, senza dubbio, il più grave conflitto sul suolo europeo dal periodo delle guerre in ex Jugoslavia e simboleggiò il momento di maggiore incrinatura dei rapporti diplomatici tra la Russia e l’Occidente dai tempi della guerra fredda. Il pretesto della crisi fu il congelamento, il 21 novembre del 2013, da parte del presidente ucraino Viktor Janukovič, sotto la forte pressione economia esercitata dalla Russia, della decisione di firmare un accordo di associazione con l’Unione europea. Le conseguenti proteste e manifestazioni pubbliche, definite Euromaidan (letteralmente “euro” “piazza”, ovvero manifestazioni di piazza a favore del progressivo avvicinamento ucraino all’Unione europea) convinsero il parlamento ad approvare una mozione di impeachment nei confronti di Janukovic con l’accusa di corruzione e omicidio di massa, visto l’utilizzo scriteriato della violenza da parte della polizia in funzione repressiva – la quale portò al tragico bilancio di più di cento morti e più di quattromila feriti – per far fronte alle numerose proteste verificatesi, come scritto, dal mancato accordo e dal malcontento che esso comportò.)) . Se nel 2014 l’Occidente comprese forse troppo tardi o, addirittura, non comprese affatto che il futuro della Crimea non riguardava solamente l’Ucraina e la Russia, oggi questo errore non può e non sarà commesso. Gli Stati Uniti e la Nato, infatti, si sono dichiarati pronti, almeno a parole, ad intervenire per impedire un ipotetico attacco russo, in virtù del dispiegamento di forze al confine ucraino da parte del Presidente Vladimir Putin. Ora, tuttavia, è opportuno porsi tre domande fondamentali per comprendere a pieno la situazione che si sta verificando nell’Europa dell’est: avverrà veramente un’invasione? Perché l’Ucraina è tanto importante per la Russia? E, soprattutto, perché si è riacceso proprio ora il conflitto?

La risposta alla prima domanda è no, difficilmente si arriverà ad un effettivo scontro bellico, anche se i toni sono molto – troppo – alti da entrambe le parti e un incidente diplomatico è sempre un’eventualità da tenere in considerazione. Il piano di Putin, tuttavia, non è quello di invadere un paese esteso quanto la Francia, popoloso quanto la Spagna, decisamente non filorusso (solo la zona sud-occidentale del paese, tra cui la Crimea e il Donbass, si può considerare vicina alle disposizioni di Mosca) e che richiederebbe un numero di personale militare – per l’amministrazione e la difesa del territorio – non indifferente. A ciò si lega la connessione storico-culturale tra Ucraina e Russia, i due stati “fratelli”, da cui nacque nel IX secolo la Rus’ di Kiev, la monarchia medievale degli slavi orientali che rappresenta l’antenato della Russia moderna e di cui, appunto, Kiev era la capitale. Introducendo tale concetto si può rispondere alla seconda domanda. La Russia non riconosce l’indipendenza e l’autonomia politica dell’Ucraina, non può accettare un suo avvicinamento all’Unione europea o alla Nato ((Si ritiene necessario fare una distinzione importante. Se nel 2012 vi era stato un avvicinamento fra Ue e Ucraina con l’accordo di associazione fra le parti, poi congelato, l’Ucraina non ha mai formalmente chiesto di entrare a far parte della Nato, né risulta scontato pensare che, ad oggi, gli Stati membri possano accettare senza riserva la sua eventuale candidatura.)) in virtù della comunanza storico-culturale, ma anche per mere ragioni strategiche: Mosca, dalla caduta del muro di Berlino in avanti, ha visto i paesi una volta appartenenti alla propria sfera di influenza cambiare casacca, abbracciando la visione occidentale e vedendo crescere – comprensibilmente – un sentimento di accerchiamento in quello che una volta era il suo “giardino di casa”. La Russia, perciò, ad oggi non vuole conquistare l’Ucraina, sa che non può permetterselo (non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, ma la visione dell’Ucraina da parte russa ricorda molto quella cinese nei confronti di Taiwan), quello che richiede a gran forza, minacciando una guerra, è la creazione di un’area cuscinetto di paesi neutrali tra l’Occidente e l’est, una zona dove, per quieto vivere, la Nato e l’Ue non potranno avvicinarsi ((La Russia di Putin vede la politica internazionale ancora in chiave novecentesca e, perciò, agisce di conseguenza, facendo riferimento a concetti come quello di potenza e uso della forza. Putin ha come obiettivo quello di ridare slancio alla politica estera russa ricordando e sognando i tempi dell’Unione sovietica.)).

Alla terza domanda – perché ora? –, infine, è molto semplice rispondere. Perché è difficile immaginare un momento di caos politico in Occidente più opportuno per la Russia di quello attuale. Negli Stati Uniti, in politica interna, la preoccupazione più impellente riguarda le elezioni di metà mandato del prossimo autunno, mentre in politica estera, è ormai palese che la guerra fredda con la Cina abbia rivolto su di sé tutte le attenzioni e gli sforzi. In Europa, invece, Emmanuel Macron è altrettanto indaffarato nella propria riconferma all’Eliseo, il neocancelliere tedesco Olaf Scholz non ha – ancora – l’appeal politico della sua predecessora, la stessa Unione europea è incapace di adottare una politica estera unita e coerente e con l’uscita di scena di Angela Merkel non vi è alcuna grande leadership a cui fare affidamento.

Da questa vicenda lo zar Putin potrebbe apparire come l’unico vincitore. In verità, da un innalzamento dei toni e delle tensioni promosse dalla Russia ne giova per prima la Nato e i suoi sostenitori. Una organizzazione nata con l’intento di combattere politicamente e ideologicamente la Russia comunista nel secolo scorso e ritenuta ormai obsoleta, se non addirittura «cerebralmente morta ((Emmanuel Macron warns Europe: NATO is becoming brain-dead, in The Economist, 7 novembre 2019))», che non sembrava in grado di reinventarsi con la caduta del muro di Berlino e di trovare una propria collocazione nel mondo multipolare del XXI secolo, non può che sorridere della riaffermazione dello storico nemico e della volontà di Putin di riportare la Russia nell’alveo delle superpotenze mondiali.

Dalla crisi ucraina, invece, emerge chiaramente come grande sconfitta, ancora una volta, l’Unione europea. Il suo ruolo diplomatico risulta irrisorio, l’Unione non viene considerata all’altezza dalla Russia per sedere al tavolo delle trattative (a differenza della Nato, che teme ma comunque rispetta) e dagli Usa, i quali pur non avendo alcuna reale intenzione di rischiare una guerra per l’Ucraina continuano a giocare il ruolo di “poliziotto del mondo” anche in aree al di fuori della propria sfera di competenza. Finché l’assetto istituzionale dell’Unione sarà quello attuale, in cui, ad esempio, la politica estera risulta essere un ambito d’azione di tutti e di nessuno – Consiglio, Commissione, Parlamento, Alto rappresentante – il suo ruolo all’interno del contesto delle relazioni internazionali non potrà che rimanere marginale e subordinato alle volontà delle grandi potenze. Una riorganizzazione gerarchico-istituzionale interna all’Ue risulterà sempre più necessaria nel corso del prossimo decennio se l’ambizione europea vuole essere quella di relazionarsi – almeno – come una potenza regionale.

Articolo apparso originariamente su Paideia 

2 febbraio 2022