RADICALI ROMA

Un Dpef balneare?

Doveva essere un Dpef di legislatura, ma rischia di passare alla storia come un Dpef balneare. I segnali di ripresa economica e l’imprevisto aumento degli introiti fiscali hanno convinto il Ministro dell’Economia e delle Finanze che l’aggiustamento di finanza pubblica richiesto dal Dpef approvato a luglio vada ridimensionato. E’ un errore, anche perché il nuovo patto di stabilità impone che l’aggiustamento sia piu’ marcato quando le cose vanno bene. Speriamo che almeno sulle intenzioni di intervenire su enti locali, sanità, pubblico impiego e previdenza il Dpef riesca a superare l’estate.

 

La rotta fissata nel Dpef

La politica economica chiama inevitabilmente a compiere scelte in condizioni di incertezza. L’incertezza riguarda sia lo stato dell’economia, che le misure di politica economica che verranno adottate, che gli effetti di queste politiche. Il Dpef deve affrontare questa incertezza e contribuire a ridurla per quanto gli compete: è istituzionalmente chiamato a delineare in modo preciso il quadro macroeconomico di riferimento e a specificare l’ampiezza della correzione da mettere in atto con la legge finanziaria. Viene preso un impegno ben sapendo che il quadro di riferimento può rivelarsi migliore o peggiore del previsto. Il Dpef approvato a luglio sostiene che la crescita nel 2006 sarà del 1.5 per cento e nel 2007 dell’1.2 per cento, e che il disavanzo del 2006 si attesterà al 4 per cento. Inoltre, il Dpef ha stabilito che l’aggiustamento netto per il 2007, rispetto allo scenario a legislazione vigente (il cosiddetto “tendenziale”), dovrà essere di 20 miliardi, in modo da rispettare i vincoli europei e riportare il disavanzo sotto il 3 per cento già nel 2007. Ai 20 miliardi di aggiustamento netto si sarebbero dovuti aggiungere 15 miliardi di spese per lo sviluppo (volte soprattutto a coprire il taglio del cuneo fiscale) da finanziare con nuove entrate o tagli di spesa. La finanziaria avrebbe quindi dovuto essere complessivamente di 35 miliardi: 20 di aggiustamento netto più 15 per coprire le spese (o minore entrate) per lo sviluppo. Come notavamo a luglio , in aggiunta a tutto questo si dovranno poi reperire risorse (fino a 5 miliardi) per i contratti del pubblico impiego scaduti da tre mesi. Ricordiamo che tra il 2001 e il 2005 i salari dei pubblici dipendenti sono cresciuti a un tasso medio annuo quasi doppio rispetto al settore privato (4,7 contro 2,5 per cento).

 

La desolante gara al ribasso

 

Come ormai purtroppo avviene da diversi anni, il Governo, dunque il Dpef, ha evitato di precisare la composizione dell’aggiustamento, stabilendo quanto sarà ottenuto con entrate aggiuntive e quanto proverrà da tagli di spesa rispetto al tendenziale. Ma quest’anno si è andati oltre. Si è assistito in questi giorni a una desolante gara al ribasso sull’ammontare della manovra, con una continua richiesta di spalmare la correzione su più anni. Tutto ciò nonostante il governo abbia riconfermato gli impegni presi con Bruxelles dal governo precedente appena dopo il suo insediamento, abbia effettuato una due diligence sui conti pubblici a metà giugno e abbia presentato e approvato il Dpef poco più di un mese fa. Bene aveva fatto il presidente del consiglio a ricordare ai suoi colleghi che non si può ridiscutere tutto ogni poche settimane.

 

Nuovi record nella spesa corrente

La gara al ribasso è in parte alimentata dal miglior andamento delle entrate, che il Governo ha sottostimato sia nella due diligence che nel Dpef. In virtù di questo andamento delle entrate, è probabile che il 2006 si concluderà con un disavanzo al di sotto del 4 per cento annunciato dal Governo. Ma il dibattito di questi giorni sembra del tutto ignorare il fatto che l’entità del miglioramento dei conti pubblici sarà al massimo di qualche decimale, e che nulla è stato fatto per arginare la dinamica della spesa, che raggiungerà un nuovo record nel 2006

Tre motivi per non cambiare

Il Ministro Padoa-Schioppa ha infine annunciato che la dimensione della manovra verrà ridotta a 30 miliardi Rispondere a un timido miglioramento del quadro macroeconomico e a un imprevisto (e ancora largamente incompreso nelle sue fonti) aumento delle entrate con un ridimensionamento della manovra e’ un grave errore per almeno tre motivi. Primo, ciò che conta veramente ai fini della politica economica (e del negoziato con Bruxelles) è il saldo primario corretto per il ciclo e per le una tantum. Se, come è plausibile ritenere, le entrate sono andate meglio del previsto soprattutto in virtù del miglioramento del ciclo e di una tantum (come la rivalutazione dei cespiti d’impresa), la situazione di fondo non è cambiata. Secondo, il nuovo patto di stabilità prevede che il risanamento debba avvenire in maniera più decisa quando la congiuntura economica è positiva (in “good times”) piuttosto che quando la congiuntura economica è avversa (in “bad times”). In sostanza, delle due l’una: se la crescita è fragile, è bene non cambiare l’entità della manovra per ridurre il rischio di nuovi sfondamenti nel 2007, mentre se effettivamente si confida nella ripresa congiunturale, l’entità della manovra dovrebbe addirittura aumentare, certo non diminuire. Terzo, non si può ignorare quanto sta avvenendo sul versante della spesa corrente, la cui crescita dovrebbe semmai diminuire quando il ciclo migliora. Questo significa che per migliorare in modo permanente i conti pubblici, bisogna agire sulla spesa corrente. Non ci sono altre strade. Ne’ si può confidare sulla lotta all’evasione, che ha esiti incerti e lontani nel tempo, e che richiede la collaborazione dei contribuenti, Questa può essere conquistata solo facendoli partecipare ai benefici, promettendo che ogni risorsa cosi reperita verrà destinata a ridurre le aliquote, mantenendo la pressione fiscale invariata. Dunque, se proprio si vuole ridimensionare la manovra, bene ridurre o posticipare il taglio del cuneo fiscale, ma non ridurre la correzione di 20 miliardi.

 

Basta con le reticenze

 

La difficile prova cui è chiamato il nuovo governo nelle prossime settimane risiede proprio nel saper bloccare la crescita della spesa pubblica in modo duraturo. Oltre all’entità della manovra, già purtroppo rimessa in discussione, conterà moltissimo la sua qualità. Il Dpef ha indicato quattro aree cruciali di intervento: enti locali, sanità, pubblico impiego e previdenza. Sono in effetti le quattro aree in cui si concentrano sprechi e inefficienze nell’utilizzo di denaro pubblico. Torneremo su queste quattro aree nelle prossime settimane su lavoce.info formulando proposte operative in grado di risultare in risparmi duraturi e crescenti nel corso del tempo. Speriamo che almeno sulle intenzioni di intervenire su questi comparti, il Dpef riesca a superare l’estate.