RADICALI ROMA

Un intervento sulla trasparenza da parte di un nostro nuovo iscritto

images8La trasparenza che (non) avvicina i giovani

di Roberto Sassi

Il rapporto tra giovani e politica vive di attrazioni. La capacità di stimolare la partecipazione alla res publica e a tutto ciò che riguarda la sua amministrazione è una qualità dei tempi. Negli anni sessanta e settanta, la prospettiva di cambiamento e la possibilità di esserci per davvero, di contribuire per davvero sono state la benzina che ha infiammato il dibattito politico e sociale.
Oggi manca il combustibile. Manca quella coscienza sociale, quel sentirsi parte che nutre l’essenza stessa della politica vera. L’incapacità (o forse la non intenzione) delle forze partitiche attuali di avvicinare i giovani si manifesta tutta nella vecchiezza parlamentare, nella lentezza argomentativa, nel dibattito insipido e infecondo che questa classe politica produce.
Capirci qualcosa è un’impresa interpretativa ardua. Usare la logica per comprendere le sempre più illogiche invettive leghiste, neodemocristiane o cattocomuniste diventa un inutile sforzo intellettivo.
Le opacità delle alleanze, delle scelte verticali e degli innumerevoli cambi di bandiera stanno alla base del disincanto giovanile.
Cosa fare per riscattare il senso di giustezza del partecipare? Come riappropriarsi di una posizione apicale nella sfera politica?
La storia secondo cui i giovani non tengono alla libertà e all’espressione del proprio sentimento sociale è ormai vecchia e non più adatta. Il disinteresse di molti non può più soverchiare l’impegno di pochi. Non può più valere la regola tutta numerica e tutta italiana della minoranza schiacciata dal silenzio della maggioranza.
Non è questo la democrazia. Non è mettere a tacere i pochi soltanto perché i più non fanno sentire la loro voce.

E se è vero che l’opacità sfavorisce l’avvento di un giovanilismo di qualità, è altrettanto vero che i tentativi di chi s’inscrive nella galassia libertaria e se ne fa – in un modo o nell’altro – portavoce sono o flebili o inappropriati o inesistenti.
Dunque anche la presunta trasparenza di queste forze politiche – e i Radicali ne sono l’esponente di spicco – non sortisce l’effetto sperato: i giovani restano lontani.
Occorre un messaggio chiaro con un mittente e un destinatario puntuali e affidabili, vogliosi di fare ma soprattutto curiosi di sapere quali sono le istanze dell’uno e dell’altro.
Non si vuole qui caldeggiare una lotta generazionale o fare del giovanilismo a tutti costi. Ma non si può non rifiutare fortemente il monopolio generazionale che si è instaurato.
Molto spesso ho sentito parlare di regime partitocratico e della necessità di debellarlo, molto spesso ho visto mettersi al collo la medaglia dell’antipartitocrazia.
Ebbene, la necessità giovanile di riappropriarsi di un certo spazio politico è solo l’altra faccia della medesima medaglia.
Le potenzialità di una svolta giovanilista e la potenza innovativa che essa può apportare alla discussione istituzionale dovrebbero essere elementi sufficienti a convincere le dirigenze.
L’opportunità di avere con sé una buona fetta di elettorato dovrebbe incitare alla trasparenza, quella sana e pulita dichiarazione di vicinanza ai giovani.
Solo così si può riattivare quel meccanismo di reciprocità e la necessaria vitalità che essi sono in grado di garantire e che, volenti o nolenti, significano rinnovamento.
Perciò, se l’intenzione di Radicali Italiani è quella di rinnovare se stessi – oltre che il nostro Paese – e di migliorare lo spazio vitale della politica non possono trascurare certune richieste (e certamente non può trascurarle il neoeletto segretario Mario Staderini).

Mi sento di chiudere con un consiglio umile, con un appello al buon senso, che è poi un’osservazione speculativa.
Lasciamo ad altri la trasparenza fine a se stessa, quella democratica che si ricade dentro, quella che finisce col diventare invisibilità. Abbandoniamo la trasparenza che somiglia all’autogiustificazione e andiamo verso l’affermazione decisa di sé fuori di sé. Diversamente si corre il rischio di non esser
visti se non da noi stessi.