I Cus torneranno in commissione, aveva annunciato la scorsa settimana Cesare Salvi. E ciò, secondo il presidente della commissione giustizia, per la difficoltà incontrata nel trovare un accordo. Si riprenderà il confronto, dunque, con la speranza che si arrivi da qualche parte prima che, anche in questa materia come è avvenuto in altre (e il caso Welby qualcosa dovrebbe insegnare), arrivino i giudici. Già, perché, ancora una volta, due persone omosessuali si sono rivolte a un giudice per potersi unire in matrimonio.
A scanso di equivoci, va premesso che la discussione e il confronto in Parlamento sono sempre benvenuti. E anche in questo caso confrontarsi non potrà che portare a risultati positivi. Se scontata è la premessa, altrettanto scontata, però, deve essere la conclusione: dopo tanto parlare, prima o poi qualcuno dovrà assumersi la responsabilità di decidere. È questo il problema che ha il Parlamento rispetto al testamento biologico del quale, dopo una primavera piena di speranze, in autunno si sono perse le tracce. Lo stesso problema sembrano averlo le unioni civili (Dico e Cus), anche se l’impatto del dibattito sul paese – vedi il Family Day – sembrava maggiore di quello avuto dal testamento biologico. In ogni caso, però, la conclusione attualmente è la stessa: dopo tanto parlare, ancora nessun provvedimento è divenuto legge. E così, come ormai sempre più spesso accade, alla via maestra, quella della legiferazione perché il paese veda regolato in via generale l’esercizio dei diritti, si sostituisce quella giudiziaria attraverso la quale i singoli cittadini cercano di ottenere in via particolare il riconoscimento dei propri diritti.
L’ultimo caso del quale si ha notizia è appunto quello della coppia di persone omosessuali di Firenze che ha deciso di rivolgersi alla Corte di Appello per vedersi riconosciuta la possibilità di unirsi in matrimonio. Ora, al di là del merito della singola vicenda, la questione che sembra davvero urgente è quella della mancanza di regole che appare sempre più evidente. Mentre il Parlamento discute e si confronta, infatti, la società non si ferma e pone alle istituzioni domande alle quali le stesse istituzioni non riescono a rispondere. Ecco, dunque, che la via giudiziaria ai diritti civili appare forse l’unica praticabile. Come già questo giornale ha sostenuto, però, non sembra questa la strada migliore. Anzi, presenta numerosi aspetti negativi. Innanzitutto, i giudici decidono su singoli casi e non in via generale. Inoltre, la decisione di un giudice potrà sempre essere capovolta da un giudice diverso. Infine, la mancanza di regole non potrà che aumentare la sfiducia dei cittadini verso la politica. La conclusione – che vale per il caso delle unioni civili così come per il testamento biologico, solo per fare due esempi – per quanto banale è che è sempre più urgente che il Parlamento si assuma le proprie responsabilità e che faccia il proprio dovere: fare le leggi.