RADICALI ROMA

Una patente per gli imam

  Una tregua in Libano, sì, ma in Italia? Troppo sangue ha ripreso a scorrere, tra italiani e immigrati: la povera Hina, pakistana, sgozzata dal padre e vituperata dalla madre. La studentessa Elena di Brescia strangolata da un cingalese. I recenti casi di stupro. Le stragi d’innocenti causate dai trafficanti d’uomini nel mare di Lampedusa. Molto spesso le vittime sono donne. E l’integrazione, sul piano culturale, familiare, dei diritti civili, è una parola vuota, balbettata da una politica smarrita. “L’espresso” ne ha parlato con Emma Bonino, ministro delle Politiche europee, che ha vissuto a lungo in Egitto, dove si trova anche in questi giorni.

Ministro Bonino, dopo il caso Mina il dibattito nel mondo femminile si è avviato con ritardo: è solo colpa del Ferragosto?
“Il ritardo delle donne o il silenzio degli uomini? Non vorrei che il dibattito fosse considerato solo un affare di donne. Dopo il caso di Hina, lo scontro tra valori culturali diversi ci riguarda tutti”.

Delitto islamista o delitto maschilista?
“Delitto patriarcale. Hina è stata vittima di un pezzo di società patriarcale. E la cosa ci riguarda perché anche la società italiana è uscita solo di recente dal suo assetto patriarcale. Non solo al sud, con i matrimoni combinati e il delitto d’onore che ebbe una prima ridiscussione nel ’71 e la rimozione definitiva nell’81. Ma anche al nord: in Piemonte, quand’ero ragazza, non si sposava un meridionale. Le disobbedienti, in Italia, a lungo sono finite in convento o in manicomio. Pochi giorni dopo l’uccisione di Hina, nel siracusano, un carrozziere siciliano ha strangolato la moglie e la suocera prima d’impiccarsi. Quindi sappiamo di cosa si parla, dovremmo saper leggere il fenomeno. Se ci focalizziamo sui delitti islamisti siamo fuori strada. Vi sono infatti molte “letture” del Corano, dalle più progressiste, ce spesso coincidono con i regimi più democratici, a quelle più esrremiste”.

L’Italia ha fatto molta strada dagli anni Cinquanta. Ma la politica sembra impotente davanti a questi conflitti nuovi.
“E allora ricordiamone un altro: la mutilazione genitale femminile. Il Corano non ne parla, e non è praticata solo in comunità musulmane, ma anche cristiane e animiste, in Egitto come in Kenya, dove la purezza della donna o della bambina è ritenuta un bene a disposizione del patriarca o della madre. L’islam più oscurantista manipola e ideologizza questa pratica. La manipolazione della religione non è una novità: partendo dal Vangelo si è arrivati a San Francesco o all’inquisizione. in Italia, però, si risponde alla legge italiana”.

Sul diritto di rifiutare il matrimonio combinato o di sottrarsi all’infibulazione.
“Certo. E la legge sulle mutilazioni genitali femminili, approvata nel dicembre scorso, è una buona legge: non solo inasprisce le pene per questa tipologia di reato, ma contiene una parte propositiva su educazione e informazione, due punti cruciali. Sono contenta che vi sia stata una mobilitazione italiana e internazionale, con l’associazione radicale “Non c’è pace senza giustizia”, Aidos e altri, finanziata dal governo e da donatori privati, che ha portato a risultati significativi. Ora auspico che il governo promuova anche un’indagine conoscitiva sul fenomeno, perché ancora non sappiamo bene chi, quanto e dove vengono praticate mutilazioni genitali in Italia”.

Educazione e informazione: a chi e come?
“Rendiamoci conto che ci sono tante comunità e tanti islam diversi. Mi ha colpito su “Avvenire” la testimonianza di Souad Sbai, presidente dell’Unione delle comunità marocchine e membro della Consulta per l’islam: quando le donne marocchine residenti in Italia tornano in patria per le vacanze, al porto di Tangeri le loro connazionali dicono “Arrivano le velate”. Vuol dire che, mentre il Marocco corre, con il giovane re che fa approvare un nuovo codice di famiglia e lancia una campagna d’istruzione, le marocchine d’Italia sono in larga parte analfabete. Non integrate, analfabete, sorpassate dalle loro coetanee in Marocco”.

Il ddl Amato, che dimezza il periodo di prova per la cittadinanza a cinque anni, è un passo che lei apprezzerà.
“Più che per i cinque anni, per la seconda parte della legge, che lega la cittadinanza all’integrazione reale: conoscenza di lingua e società italiana, diritti e doveri, lavoro stabile, radicamento nel territorio, e assenza di reati penali”.

Parliamo di diritti individuali, allora, non di diritti di comunità.
“Si capisce. Dobbiamo avvicinare il singolo straniero alla legge, possibilmente senza la mediazione dell’imam. Dobbiamo evitare la separatezza totale, come la banlieue monoculturale, e anche che il centro islamico si consideri “legibus solutus”, svincolato
dalla legge italiana”.

Sull’immigrazione parlano tanti ministri, Amato, Pollastrini, Melandri. Ma chi deve realizzare le politiche specifiche?
“L’immigrazione riguarda tutto il governo, dall’integrazione dei pakistani agli sbarchi a Lampedusa. Ma poi la politica deve scendere alle amministrazioni locali. Riguarda i figli degli immigrati nella scuola italiana, l’accesso alla tv italiana: poveri loro, aggiungo, visto il livello dell’offerta. Troppe donne sono isolate, non sanno letteralmente a chi chiedere aiuto. Se chiamano il numero verde, del ministero o del Comune, in che lingua lo fanno?”.

Come contrastare l’odio culturale predicato da alcuni centri islamici?
“Cominciamo a certificare gli imam: non è che il primo che si autoproclama tale predica quel che gli pare. In Marocco gli imam devono essere certificati, si comincia anche in Francia. Lo Stato deve evitare che il propagandista estremista infiammi le comunità con discorsi antioccidentali o anticostituzionali. Bisogna riaffermare il valore della legge in tutti i luoghi loro. L’Italia non può accettare il multiculturalismo. Siamo una società multietnica, ma non multiculturale”.

Come giudica la legge Bossi-Fini, anche alla luce della tragedia degli sbarchi?
“I Cpt non sono molto adeguati all’emergenza, e così il controllo sulle espulsioni. Con la Bossi-Fini, la fila in Questura dovrebbero farla i datori di lavoro: chi li ha visti? In teoria le decine di migliaia di non accettati dovrebbero tornare al Paese d’origine ad aspettare il visto: questo non ha funzionato. Manca anche una legge organica sul diritto d’asilo, è un altro tema da portare in Consiglio dei ministri”.

Per arginare il caos degli sbarchi il governo dovrebbe chiedere aiuto all’Unione europea o premere su Gheddafi e la Libia?
“Questa situazione anzitutto è l’ulteriore dimostrazione di come sia urgente avere una seria politica europea per il Mediterraneo che includa gli aspetti legati all’immigrazione, cosa che da molti anni considero una priorità assoluta. L’Italia è in prima fila: basta che il governo Zapatero blindi le sue frontiere perché aumenti in modo esponenziale il numero dei barconi in partenza da porti troppo compiacenti, con i risultati che vediamo. Da questo punto di vista, mentre l’accoglienza e la sorveglianza restano un problema essenzialmente interno, il coordinamento europeo – e la solidarietà, aggiungo – è cruciale per una politica comune che ottenga risultati concreti dai paesi da dove partono i clandestini. Anche perché questi disperati, prima di affrontare il tragitto via mare, hanno spesso varcato diverse frontiere, dal Sahel al Corno d’Africa. La via del dialogo bilaterale, condita da qualche scenica passeggiata col colonnello Gheddafi, mi sembra fallita. Bene fa Amato a concentrarsi su una Conferenza euroafricana che possa affrontare il fenomeno nella sua globalità e a chiedere maggiore attenzione agli altri paesi europei attrave
rso i meccanismi dell’Unione”.