RADICALI ROMA

Una questione d'urgenza

«La situazione dei conti pubblici ricorda quella dei primi anni Novanta e per alcuni aspetti è ancor più grave rispetto al 1992», disse il ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa poco dopo essersi insediato al governo. E in seguito a quell’allarme ilDpef (Documento di programmazione economico-finanziaria) annunciò grandi riforme strutturali: pensioni, pubblico impiego, sanità, finanziamento degli enti locali, per aumentare l’efficienza e ridurre i costi. «E’ finita l’epoca dei tetti alla spesa, espedienti temporanei e inutili ».
In un’analisi degli interventi necessari per raggiungere gli obiettivi indicati nel Dpef — e approvati dal Parlamento con la Risoluzione di fine luglio — Luigi Spaventa (la Repubblica, 20 luglio e 10 agosto) faceva questi conti: «L’aumento delle entrate nel primo semestre dell’anno potrà contribuire a finanziare i 15 miliardi di euro promessi di “misure per lo sviluppo”, ma a parità di correzione netta di 20 miliardi. Ne segue che, rispetto alle previsioni a legislazione vigente (che tuttavia non includono alcun onere per il rinnovo dei contratti pubblici), nel 2007 le spese al netto degli interessi dovrebbero essere inferiori a quelle del 2006 di un punto e mezzo in termini di prodotto e di 2-3 miliardi in valore assoluto. Ciò sarebbe un evento straordinario, mai verificatosi a memoria di statistiche».
Bastano gli interventi prospettati nel programma dell’Unione per conseguire un risultato che Spaventa definisce «straordinario »? E, se sì, con quale cadenza temporale si pensa di realizzarli? Manca meno di un mese alla presentazione della Legge finanziaria, ma sul contenuto delle grandi riforme auspicate nel Dpef ancor nulla si sa, né risulta che siano al lavoro comitati incaricati di valutare le opzioni tecniche e di verificarne il consenso politico. Nell’estate del 1992 Giuliano Amato formò il suo governo all’inizio di luglio, quaranta giorni più tardi rispetto all’attuale. A metà mese già erano all’opera quattro gruppi di lavoro incaricati di studiare ampie riforme di sanità, pubblico impiego, pensioni ed enti locali. Le prime riforme (pensioni e pubblico impiego) vennero approvate dal governo in settembre e presentate al Parlamento insieme alla Legge finanziaria.
E’ lecito esprimere perplessità e auspicare una iniziativa politica più risoluta ed incisiva? E’ lecito esprimere il dubbio che il ministro dell’Economia non abbia un programma forte e che i tempi lunghi che egli auspica non siano compatibili con l’urgenza che egli stesso ha dichiarato? E’ lecito pensare che, oltre alle riforme strutturali, vi siano nel bilancio dello Stato spese inutili, non giustificate e sprechi consolidati da anni sui quali bisogna intervenire?
Questo era il senso del mio editoriale del 19 agosto. Il ministro dell’Economia ha escogitato una singolare procedura per manifestare la propria contrarietà: informare in via privata un centinaio di italiani illustri (ma non i lettori del Corriere) che l’opinione da me sostenuta sarebbe il frutto avvelenato di un’analisi superficiale, fondata su elementi di fatto dolosamente alterati. Il ministro (com’è riferito a pagina 27) mostra di non avere dubbi circa la causa di tanto fraudolenta leggerezza. Non sento alcun bisogno di difendere la mia reputazione. Delle due l’una: o quella che Guido Calogero chiamava «civiltà del dialogo» si appresta a menar una vita ben grama in questo Paese, oppure vale per il ministro il precetto biblico «colui che Dio vuol perdere fa insanire».