L’accusa è pesantissima: inaffidabilità e subalternità alle gerarchie ecclesiastiche. Principale imputato: Walter Veltroni nella doppia veste di sindaco di Roma e leader del Pd. A sostenere l’offensiva: associazioni gay e partiti della Sinistra, che rilanciano — dopo lo stop alle unioni civili in Campidoglio — con un referendum popolare istitutivo del registro “affondato” lunedì sera. Registro che però «sarebbe stato un di più, la capitale già prevede una serie di misure a favore dei conviventi», protesta in difesa Anna Finocchiaro. Supportata dal ministro Rosy Bindi: «Non è compito del Comune stabilire diritti e doveri che spettano a una legge nazionale». Per poi aggiungere come pure la proposta sui Cus (il nuovo nome dei Dico) «potrebbe non trovare la maggioranza in Parlamento a causa di alcuni profili di incostituzionalità». È un day after da tutti contro tutto quello consegnato dalla bocciatura romana delle coppie di fatto. C’è chi, come il segretario di Rifondazione Franco Giordano, dice che «sul tema della laicità il Pd si è rivelato assolutamente inaffidabile», e chi decreta che «il Vaticano è intervenuto e Veltroni si è piegato» (Manuela Palermi, Pdci). Chi ci legge «un segnale importante per il Paese, che ha definitivamente affossato il disegno di legge sui Cus» traducono le azzurre Carfagna e Bettolini, e chi interpreta la saldatura fra Pd e centrodestra in Campidoglio come «la riedizione — parole del verde Bonelli—della potentissima Dc di vent’anni fa». E se l’ex ds Gavino Angius parla di «una sconfitta culturale e politica», c’è chi lancia una nuova sfida: «Raccoglieremo le firme per un referendum comunale», tuonano radicali e socialisti insieme, tra cui il segretario Boselli (che di Veltroni dice: «Ha sporcato l’immagine laica di Roma») e i deputati Grillini, Spini, Villetti e Turci. Una consultazione propositiva, che quindi non necessita di quorum: basterà che un terzo degli aventi diritto si pronunci per avere il registro negato dal consiglio capitolino. Un dibattito che ha presto travalicato i confini romani. Ad accendere la miccia, l’intervista alla Radio Vaticana in cui il ministro Chiti ha manifestato tutta la sua contrarietà a matrimoni e adozioni omosessuali: «Un figlio è abituato ad avere un padre e una madre, non credo che funzionerebbe con due madri o due padri». Dichiarazioni stigmatizzate dall’Arcigay, «preoccupata per ciò che sta accadendo o potrà accadere in Parlamento con lo spostamento oltre Tevere della linea del Pd», segno di «una trasformazione politico-genetica di cui bisogna tenere conto».