l’interlocutore da coltivare per Silvio Berlusconi in questi ultimi scampoli di campagna elettorale è il mondo cattolico che non può certo affidarsi a Romano Prodi o a Francesco Rutelli per difendere le proprie ragioni. «Vedete – spiega il Cavaliere seduto su una delle poltrone del salotto di via del Plebiscito – Rutelli si è convertito per ragioni politiche. Mi raccontano che in questa campagna elettorale va a Messa tre volte al giorno». «Ma non è neppure furbo come Giulio Andreotti. Almeno lui nel periodo elettorale andava sì in Chiesa, ma non pregava davanti all’altare principale, puntava alla sagrestia. E a chi gli chiedeva il perché, rispondeva: “il sagrestano vota, l’Altissimo no”. Il rammarico, l’amore tradito, sono i radicali. «Io sono sicuro di vincere – si confida il premier – ma se incredibilmente dovessimo perdere – e non lo credo – la colpa sarebbe solo dei radicali che si sono alleati con chi ha degli ideali opposti in economia, in politica estera, sulle libertà. Sono sorpreso e indignato e spero che i loro elettori votino i radicali che sono da noi: in politica un po’ di coerenza ci vuole. E’ un argomento che ho sottovalutato. In fondo ci sarebbe voluto poco per averli con noi…».
Sono i ragionamenti di Silvio Berlusconi alla vigilia del voto che deciderà il suo destino politico. Il premier continua a mostrarsi ottimista: «Siamo in vantaggio noi di poco. Praticamente siamo alla pari». E proprio per strappare quei decimali che nella sua testa possono essere decisivi il premier si condanna ad un «tour de force» frenetico. «Meno male che domani sera finisce – racconta – sono allo stremo delle forze. Ho la voce rauca e vado avanti con il cortisone. E sto stringendo i denti: debbo alzarmi alle 6 e 15 del mattino quando, invece, normalmente mi alzo alle 7 e mezza. E vado a dormire alle 2 e mezza». L’obiettivo è quello di tenere alta la tensione mediatica, l’unica che può spingere la gente ad andare a votare. «Deve esserci un’affluenza – spiega – superiore all’80%». E per raggiungere questo traguardo negli ultimi quattro giorni il Cavaliere ha dettato l’agenda: prima l’abolizione dell’Ici sulla prima casa; poi «il coglione», trasformato in «masochista», a chi non va a votare facendo il gioco della sinistra; ancora, il tentativo di andare in video sul Tg5 e la denuncia della «prova di regime» che c’è nel paese; infine l’attacco ai giudici per il caso «Mills» con le prove dei versamenti di un armatore, Diego Attanasio, che dimostrerebbero la sua innocenza.
Insomma, una campagna sul filo dell’alta tensione. «Per noi è fondamentale – spiega – che il maggior numero di italiani si renda conto che questa volta è importante votare. Siamo in una situazione peggiore del ’94, di quando ho deciso di entrare in politica». E l’offensiva è tutta affidata ad interviste televisive e radiofoniche. Dei giornali gli importa poco: «Sono tutti dall’altra parte. Anche il vostro (La Stampa). Non parliamo poi del Corriere della Sera che sembra il Manifesto. Quando lo leggo nella sua foliazione dalla prima all’ultima pagina mi indigno. Del resto i proprietari della grande stampa hanno fatto l’accordo con la sinistra».
Appunto, l’accordo «nascosto», «poco chiaro», «poco trasparente» tra «la sinistra, le banche, le grandi imprese che hanno bisogno del denaro pubblico». E se qualcuno, rammentandogli la sua proposta a Luca di Montezemolo di entrare al governo cinque anni fa, gli domanda cos’è cambiato da allora, si becca una risposta generica quanto astiosa: «Non lo so e non mi interessa. Chiedetelo a lui».
Il cavallo di battaglia con cui Berlusconi vuole spingere il popolo del “non voto” ad affollare le urne, rimane l’abolizione dell’Ici sulla prima casa. «In Italia l’87% degli italiani è proprietario della casa in cui vive – puntualizza – e credo che alla fine gli italiani cureranno i loro interessi». E i due miliardi e mezzo di euro che servono a finanziare l’operazione? Il Cavaliere ha già la ricetta pronta: «I Comuni di sinistra debbono razionalizzare le loro spese. Debbono amministrare meglio i soldi dei cittadini. Lì ci sono clientele, nepotismo, consulenze agli amici degli amici. Possono risparmiare su feste e megaconcerti. Solo nel Comune di Ravenna ci sono 8 miliardi di vecchie lire di consulenze su temi del tipo “il ciclo delle sardine”, oppure “le conseguenze del nudismo sulle spiagge”». Per non parlare delle missioni all’estero o delle sedi di rappresentanza che i diversi comuni hanno aperto all’estero. Vedi il Comune di Firenze. Tutte cose che ai cittadini non interessano».
Eppoi ancora la finanza rossa, l’Unipol e i suoi affari. In queste settimane il premier ha messo in campo tutto l’armamentario che aveva a disposizione. E guai se qualcuno gli rammenta di essere proprietario di tre televisioni. «Avete scritto che il mio tentativo di intervenire al Tg5 è stato un blitz fallito. Ma quale blitz! Il mio era un diritto. Qui non hanno messo in campo la par condicio, ma un trucco: il mio avversario non andando in tv ha impedito a me di andarci. Non è stata garantita a tutti e due la stessa informazione, loro hanno impedito che in questa campagna elettorale ci fosse informazione. E quando l’altro ieri quelli del Tg5 mi hanno chiesto se volevo andare in tv, io ho risposto: “Sono sicuro che alla fine nessuno, nè Prodi, nè gli altri leader della sinistra, nè i loro giornalisti verranno. Perché non vogliono che io vada in tv”». E, già, il solo tirare in ballo l’argomento fa arrabbiare il premier. «Questa – sentenzia – è una prova di regime». Alla fine però, il personaggio sdrammatizza il tutto con la solita battuta. Dove andrà a votare? «A Milano. Sempreché ci vada a votare. Potrei decidere di fare il coglione anch’io. Scherzo».