«L’allarme lanciato da Massimo D’Alema sulla crisi della politica è fondato. Tuttavia, a differenza del ’92, oggi siamo tutti consapevoli, a sinistra come a destra, di essere corresponsabili e per questo stiamo cercando le soluzioni che allora, sbagliando, non ci preoccupammo dì individuare». Luciano Violante, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, è convinto che stavolta il vento dell’antipolitica possa essere arginato e che non ci sarà una riedizione del «lancio di monetine davanti al Raphael». Perché, spiega, «oggi c’è una grande differenza con il ’92».
Qual è questa differenza, presidente Violante?
«Nel ’92, la Lega venne in aula con il cappio. I deputati del Msi indossarono i guanti bianchi di “Mani pulite” mentre altri dirigenti di quel partito organizzarono l’assedio della Camera. La sinistra, dal canto suo, vedeva confermata dai processi l’analisi di Berlinguer sulla questione morale. C’era una parte del mondo politico contro un’altra parte del mondo politico. Invece, oggi la proposta del Partito democratico, l’idea dell’estrema sinistra di creare raggruppamento unico e la proposta del “partito della libertà” che si avanza a destra dimostrano che siamo tutti consapevoli della nostra inadeguatezza e della necessità di cambiare radicalmente il quadro politico».
Lei, ora, avverte gli stessi scricchiolii di allora?
«Come allora si è creato un vuoto tra società e politica: un vuoto di rappresentanza perché gran parte della società non si sente rappresentata dal ceto politico e noi stessi non abbiamo chiaro chi rappresentiamo. L’ultima legge elettorale, infatti, ha dato la facoltà di scegliere gli eletti alle oligarchie dei partiti togliendola ai cittadini. Si è così spezzato il rapporto tra società e politica».
Quali sono le altre cause della perdita di credibilità della politica?
«L’eccessiva frammentazione. E poi la mancanza di una idea guida per l’Italia dei prossimi 10 anni. Le rivalità politiche e gli egoismi privati non si superano con le prediche ma mettendo al centro dell’azione politica una grande idea che mobiliti le intelligenze e i cuori. Questa idea non c’è né a sinistra né a destra».
Nel ’92, il sistema politico amputò una parte di se stesso.
«Ritenemmo che bastasse aspettare che il frutto cadesse dall’albero. Ma il frutto fu colto da Berlusconi che ha innovato radicalmente, nel bene ma anche nel male, il sistema politico. Oggi anche Berlusconi è parte della malattia. Noi, consapevoli della gravita della situazione non ci limitiamo alle riforme elettorali e costituzionali, peraltro necessarie, ma proponiamo di costruire il nuovo partito del riformismo italiano. Questa proposta ha messo in moto processi analoghi tanto a destra quanto a sinistra».
Quindi, oggi la crisi della politica richiederebbe rimedi diversi rispetto al ’92.
«Abbiamo pur imparato qualcosa da quella sconfitta. E poi la situazione economica di oggi non è quella le ’92 quando il quadro era veramente tragico».
Oggi è concreto il rischio che l’antipolitica possa travolgere i partiti?
«Vedo il rischio di un partito neo guelfo che catalizzi consensi in modo trasversale. Dalla manifestazione di piazza San Giovanni sono partiti due messaggi. Uno sulle politiche per la famiglia e va raccolto. L’altro ha fatto intravedere l’ombra di una formazione neo guelfa, che considero una minaccia per la stessa missione della Chiesa cattolica. Mi ha stupito, lo dico con rispetto, che i vertici del Vaticano abbiano promosso una manifestazione che avrebbe potuto rompere la pace religiosa in Italia».
Nel ’92 fu centrale la questione morale. La corruzione non esiste più?
«Non fu Tangentopoli ma il crollo del Muro di Berlino a far sgretolare un sistema politico che era la traduzione interna del bipolarismo internazionale. I processi andarono avanti perché gli imprenditori iniziarono a parlare; nel ’91 la Cei fece una documento durissimo contro la corruzione. Tangentopoli non nacque nella testa di qualche magistrato gauchiste: nacque dalla società italiana tanto che la Lega, il partito fuori dai giochi, passò da uno a 50 deputati».
La crisi della politica investe anche l’Europa?
«Oggi (ieri, ndr) abbiamo incontrato i colleghi del Bundestag per lanciare l’idea di una riunione delle commissioni Affari costituzionali dei 27 Paesi sulle norme delle rispettive costituzioni che riconoscono l’Europa. Perché, attraverso le carte nazionali, molti principi sull’Europa sono già costituzionalizzati. Per cui proponiamo di rilegittimare dal basso quello che non siamo stati capaci di costruire dall’alto».