«Diciamolo: è un’esperienza finita, quella della Rosa nel Pugno coni radicali e lo Sdi, e del resto era prevedibile, visto quant’è complicato far stare insieme componenti politiche tanto diverse». Ottaviano Del Turco, esponente di spicco dello Sdi e presidente della Ragione Abruzzo, sancisce la fine, dal suo punto di vista, del percorso politico della Rnp. Percorso giunto al capolinea, appunto. Ma Del Turco ne ha anche per il governo Prodi e la sua finanziaria: è giusto mantenere il rigore, ma il governo deve correggere il tiro. E il viceministro Visco «deve smetterla di fare il verso alle sue stesse caricature, deve smetterla di fare il Dracula».
Dal congresso della Rosa nel Pugno è emersa una crisi tra radicali e socialisti. Ma davvero è un’esperienza al capolinea, per voi dello Sdi?
«I processi di unione tra partiti con storie diverse sono molto complicati. Ne ho visti tanti, nella mia vita… Basti pensare solo a quanto fu difficile la riunificazione tra socialisti e socialdemocratici, che pure avevano la medesima tradizione politica. Figuriamoci se non sarebbe stato difficile mettere insieme socialisti e radicali, che hanno avuto elementi di contatto, ma anche di contrasto, diciamo così».
Chi avrebbe sbagliato e in che cosa?
«L’idea di partenza era buona, ma un atto di umiltà necessario, da parte di Marco Pannella e dei socialisti dello Sdi, sarebbe stato quello limitarsi a mettere insieme, per il momento, quello che poteva unire le due anime. Ossia l’impegno dei radicali nel campo dei diritti civili e dei socialisti per quelli sociali».
E al suo leader Boselli, a cui ha scritto subito dopo il congresso, che cosa dice?
«A Enrico Boselli rimprovero di aver improvvisamente dimenticato l’impegno per i diritti sociali e ai radicali rimprovero di essersi divertiti a giocare – secondo una regola egemomaniaca della vecchia tradizione comunista – ad avere un potere di rappresentanza di un partito più grande di quel che è in realtà. Il risultato è che i due elettorati non si sono sommati ed è stata una sconfitta per tutti».
Quale potrebbe essere il futuro del Sdi? Magari nel Partito Democratico?
«Il nostro gruppo dirigente, come dopo ogni sconfitta, deve riflettere sui motivi di questa sconfitta e con i processi da essa innescati, con i socialisti estranei alle varie trasformazioni in atto. Devo sottolineare che io non sono interessato al Partito Democratico così come si sta definendo ora. Continua a sembrarmi un piccolo compromesso storico, in formato bonsai. Però mi piace l’idea di una grande raggruppamento, che metta insieme diverse tradizioni, tra le quali ci sia anche la grande tradizione garantista e riformista».
Garantista e riformista?
«Sì, voglio sottolineare garantista… Non riesco a vedere garantisti tra i diessini e quelli della Margherita, si nascondono sempre dietro a fumisterie. Il garantismo, invece, è una componente fondamentale della sinistra internazionale»
Lei si candida a guidare questo innesto nel grande raggruppamento a sinistra?
«Sia chiaro, non mi candido a nulla. Sono solo uno che ha esaurito la parte delle proprie responsabilità di governo, di dirigente di partito e sindacale. Adesso mi assumo le responsabilità di militante e lo faccio con la passione di sempre».
Lei che è stato ministro delle Finanze, dica la verità: non le sembra che questa Finanziaria sia un po’ troppo pesante, per le spalle degli italiani?
«A me, per la verità, sembra pesante la situazione economica del Paese. Talmente pesante che tutti sapevano che le agenzie internazionali di rating avrebbero abbassato il livello italiano. Questa situazione richiede dunque una cura energica. Tutte le Finanziarie si possono fare anche diversamente da come si è fatta questa, ma sulla cura drastica che deve prevedere non ci sono dubbi. Penso che i suoi effetti positivi si potranno vedere nel giro di sette otto mesi».
Ma gli italiani, le categorie che scendono in piazza, hanno ragione o torto nel manifestare tutto il loro malessere?
«E’ un malessere giustificato, perché la percezione delle difficoltà del Paese non rende popolare nessun governo, che sia o meno responsabile di quella situazione. Prodi deve sapere che questa è la regola, in democrazia. La gente non pensa mai al governo che c’era ma a quello che c’è. E se abbiamo chiesto i voti per governare dobbiamo avere anche la forza di sopportare le critiche e le accuse».
Ma non c’è una critica aperta che lei rivolge all’esecutivo? «Beh, penso che esista un difetto di comunicazione. Al mio amico Vincenzo Visco rimprovero la mania, ormai “conclamata”, di rispecchiarsi, di vantarsi,in un certo senso, della caricatura che di lui fanno. Anzi, è innamorato della sua caricatura. Gli piace fare Dracula».
Il voto in Molise: un test per la maggioranza e il governo o un risultato locale?
«Quando cinque anni fa Berlusconi cominciò a perdere in alcune città e Regioni, tutti compresero che stava per finire anche l’esperienza di governo.Adesso credo che non bisogna esagerare la portata del voto in Molise, ma da qui a dire che quel voto non ci interroga e non significa nulla ce ne corre. Invece, questo voto ci dice che abbiamo un problema di recupero di una fetta di elettori che non sta con il centrosinistra. Senza esagerare, ma senza fare come fa Prodi, che minimizza. Solo gli sciocchi possono far finta di niente».
Lei che, da ex-leader sindacalista di manifestazioni se ne intende, cosa ne dice di quella contro il precariato?
«Beh, io ho visto dirigenti della Cgil partecipare a manifestazioni organizzate proprio contro di loro. Dunque, non si tratta di una novità, ma c’è una bella dose di opportunismo insopportabile. Urlare contro il governo e stare nel governo deve essere ben pesante per chi lo fa. E per chi lo vede è ragione di sbigottimento».